Se c’è un’immagine che descrive perfettamente il rapporto tra governo e Big Tech, è quella di un poliziotto che insegue un’auto sportiva… in triciclo. Non importa se ha ragione, arriverà comunque troppo tardi. È la fotografia sbiadita dei processi antitrust intentati dalla Federal Trade Commission contro colossi come Google e Meta. Processi che sembrano nati da fototessere di un’epoca passata, scolorite quanto inutili, e che pretendono di giudicare un mercato tecnologico con dinamiche mutate più velocemente di una story su Instagram.
Il caso contro Meta, sbarcato in tribunale a Washington, si basa sull’acquisizione di Instagram e WhatsApp, avvenute rispettivamente nel 2012 e nel 2014. Due ere geologiche fa, in scala digitale. All’epoca Instagram era poco più di una fotocamera con filtri carini, e WhatsApp un servizio di messaggistica senza modello di business. Oggi sono pilastri dell’impero Zuckerberg, ma accusarlo adesso per quelle mosse equivale a multare un’auto in sosta perché vent’anni fa ha superato il limite di velocità.
E mentre si celebrano questi riti giuridici degni di un dramma in costume, nel frattempo è arrivato TikTok. È esploso. Ha cambiato le regole del gioco. Ha riscritto l’algoritmo della cultura. E lo ha fatto con una tale forza da far sì che persino Trump, tra un comizio e una citazione in giudizio, voglia salvarlo nonostante le sue origini cinesi. Paradosso su paradosso: il governo americano si aggrappa a una definizione di “mercato dei social network personali” che esclude TikTok, LinkedIn, Reddit, Pinterest, X (ex Twitter) e altri. Include solo Snap. Una definizione così creativa che potrebbe meritare un premio letterario. La narrativa alternativa, del resto, è un’arte.
Lo stesso schema si è ripetuto contro Google. Il processo per il presunto monopolio nella pubblicità digitale è centrato su tecnologie in uso quando i siti di informazione avevano ancora un futuro, ignorando totalmente il dominio odierno delle piattaforme video e dello streaming, dove la supremazia pubblicitaria di Google è, per usare un termine tecnico, trascurabile. È un po’ come accusare Blockbuster di monopolio… nel 2025.
La causa più recente, quella sulla ricerca, è ancora più grottesca. Il governo ha finalmente portato a casa una vittoria, ma si tratta di una conquista di Pirro: Google non ha perso il dominio nei motori di ricerca, ma è già sotto assedio da AI e chatbot come ChatGPT. Che non solo rispondono alle domande, ma iniziano a evitare i link. Addio SEO, addio traffico organico, addio… mondo come lo conoscevamo. E no, il governo non ha un piano per questo. Ha solo una retrospettiva giudiziaria.
E qui arriva il colpo di scena: spesso non è nemmeno necessario l’intervento statale. Le aziende Big Tech si auto-sabotano benissimo da sole. A volte per arroganza, altre per strategie suicide, spesso per puro logoramento interno. È il capitalismo che si autoripulisce, anche se con un certo sadismo.
Prendiamo Intel e la sua tragicommedia chiamata Altera. Nel 2015, Intel acquista Altera per 14,5 miliardi di dollari con l’ambizione di dominare i chip programmabili. Oggi, la svende per una valutazione di 8,75 miliardi, cedendone il 51% a Silver Lake, fondo di private equity notoriamente abile nello scovare occasioni dove gli altri vedono macerie. Dieci anni per distruggere metà del valore, un’epopea degna di un fallimento greco.
La strategia era già scritta a ottobre 2023: separare Altera come entità autonoma, con tanto di vestito nuovo per attirare investitori. Una specie di make-up finanziario prima di andare al ballo dei fondi. Il problema è che i numeri non mentono: i ricavi sono crollati da 2,8 a 1,5 miliardi in un anno. L’amministratrice Sandra Rivera, messa lì per traghettare l’operazione, oggi è fuori. Al suo posto arriva Raghib Hussain da Marvell, con la speranza che porti almeno un po’ di magia. Ma il danno è fatto.
La verità cinica? Il mercato è spietato, e la politica rincorre i fantasmi. I processi antitrust fanno notizia, ma cambiano poco. Le vere guerre si combattono nel codice, nell’algoritmo, nei click. E il tempo in tribunale non scorre alla stessa velocità del ciclo dell’innovazione. Ricordiamocelo anche da noi…
Tanto rumore per nulla, o quasi. E nel frattempo, il mondo è già cambiato di nuovo.