L’amministrazione Trump ritratta sulla decisione di bloccare l’esportazione delle GPU Nvidia H20 HGX verso la Cina, a seguito di un incontro tra il CEO dell’azienda, Jensen Huang, e l’ex presidente americano. Durante una cena esclusiva presso il resort Mar-a-Lago, Huang avrebbe garantito ingenti investimenti nelle infrastrutture di intelligenza artificiale negli Stati Uniti, spingendo l’amministrazione a riconsiderare la propria posizione.

La Silicon Valley si trova ora alle porte di una rivoluzione senza precedenti, con Nvidia al centro della scena come leader indiscusso dei chip per l’AI. Con l’ombra di una potenziale guerra commerciale e le crescenti tensioni geopolitiche con la Cina, Nvidia ha scelto di puntare tutto sulla produzione domestica americana. Non si tratta di un semplice gesto simbolico, ma di un impegno concreto: Huang ha annunciato un investimento colossale di mezzo trilione di dollari per sviluppare infrastrutture Made in USA.

E non stiamo parlando di cavilli contabili o buyback travestiti da innovazione. Si tratta di un piano di industrializzazione da far tremare le vene ai polsi: un milione di metri quadrati tra Phoenix, Dallas e Houston dedicati a produrre chip Blackwell e supercomputer per alimentare la corsa globale all’AI. Questo non è reshoring, è un atto di guerra commerciale camuffato da patriotismo tecnologico. Il messaggio è chiaro: il futuro dell’AI si costruisce negli States. Il resto è rumore.

Huang, in perfetto stile da frontman techno-capitalista, l’ha detta grossa: “Per la prima volta, i motori dell’infrastruttura mondiale dell’AI vengono costruiti negli Stati Uniti”. Non è solo una dichiarazione di intenti, è una cannonata lanciata verso Taiwan, da sempre la fabbrica silenziosa dei sogni siliconici di Nvidia. È anche un’ode — non troppo velata — all’America di Donald J. Trump, che su questa storia ha già ricamato il suo messaggio elettorale: “Ecco il Trump effect in azione.” In altre parole: il nuovo Rinascimento manifatturiero americano, con tanto di siliconi e server farm, ha un marchio politico ben preciso.

Ma la cosa interessante non è solo lo spostamento della produzione. È la composizione di questa nuova triade industriale. Nvidia resta il cervello, ma le mani saranno quelle di Foxconn, Wistron e soprattutto Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), che continua a produrre i chip più avanzati del pianeta. In sostanza: si delocalizza la delocalizzazione. TSMC, la colonna vertebrale tecnologica di Taiwan, seguirà Nvidia negli USA, come un samurai leale che attraversa l’oceano per combattere nel nuovo dojo della geopolitica tech.

Nel frattempo, a margine, il titolo Nvidia ha fatto quello che fanno sempre i titoli in giornate così: si è agitato, ha ondeggiato, è sceso a 110 dollari prima di risalire a 111,70. Nessun tracollo, solo nervosismo algoritimico. Il messaggio del mercato è chiaro: l’annuncio non è ancora revenue, ma il potenziale è da sbronza da capex.

E qui arriva il nodo gordiano della narrazione. Perché questa mossa non è isolata. Fa parte di un disegno più ampio che porta il nome vagamente fantascientifico di Stargate: un’iniziativa con Oracle, OpenAI e Softbank, anche questa da 500 miliardi, anch’essa centrata sull’infrastruttura AI negli Stati Uniti. Trump ha promesso un’America digitale e sorvegliata da intelligenze artificiali addestrate in patria, e Nvidia sembra intenzionata a fornirgli i mattoni (e le GPU) per costruirla.

Dopo anni di globalizzazione spinta e supply chain disegnate su Google Earth, adesso si torna a produrre sotto la bandiera. Con una differenza sostanziale: non è nostalgia, è strategia. E Nvidia, da buon croupier dell’intelligenza artificiale, punta tutto sul tavolo americano.

E come si dice in ambienti da boardroom: follow the money, e il silicio vi porterà in Texas.