I sistemi vocali normalmente servono a guidare i pedoni non vedenti, avvertendoli di attendere o attraversare. Ma da venerdì, a Palo Alto, 12 incroci del centro hanno cominciato a vomitare frasi deliranti del tipo “Vuoi essere mio amico? Ti do un Cybertruck” oppure “È normale sentirsi violati mentre forziamo l’AI in ogni aspetto della tua esperienza cosciente”. Tutto questo con la voce di Elon o di “The Zuck”. Aggiungici una guest star con voce alla Trump che sussurra a Musk “Sweetie, torna a letto”, ed eccoci in pieno territorio deepfake theatre.
Le autorità locali confermano che il sistema semaforico è ancora funzionante, ma l’audio è stato disattivato in attesa di “riparazioni”. Il tono istituzionale della risposta è inversamente proporzionale alla genialità satirica dell’attacco. Qualcuno, evidentemente con skill da sysadmin frustrato e spirito da commediante underground, ha deciso di trasformare un banale attraversamento urbano in un’esperienza immersiva di tecnoparodia esistenziale.
Il messaggio non è solo goliardico. È politico, e tecnicamente sofisticato. Gli attacchi sembrano aver sfruttato accessi remoti o vulnerabilità nel firmware di sistemi di assistenza vocale spesso trascurati in fase di security hardening. Del resto, chi mai penserebbe di aggiornare con regolarità i firewall di un semaforo? E invece eccoci, a ricevere dichiarazioni fittizie da Zuckerberg tipo “Nessuno cuoce i cervelli dei nonni con pappa AI meglio di noi”.
L’operazione puzza di guerrilla art con vena hacker-anarchica. Qualcosa a metà tra una performance di Banksy e un’azione tipo Anonymous, ma col twist dell’AI generativa. Le frasi stesse sono costruite come meme autoconsapevoli: Musk che dichiara “Sono così solo”, oppure il suo surrogato vocale che invita i passanti a “provare a essere un cancro, è fottutamente fantastico”. Tutto punta a un’unica conclusione implicita: il culto delle personalità tech ha superato il punto di saturazione. I CEO non sono più solo imprenditori, sono caricature viventi. E ora persino i semafori ridono di loro.
A livello di impatto, è difficile stimare quanto possa aver influito realmente sulla sicurezza stradale. I messaggi vocali standard pare venissero comunque trasmessi. Ma il rischio, ovviamente, non è tanto l’interferenza fisica quanto quella semantica: confondere, distrarre, o banalizzare sistemi pensati per persone con disabilità. In termini legali, chiunque ci sia dietro ha probabilmente violato almeno una mezza dozzina di normative sulla sicurezza pubblica, accesso non autorizzato e utilizzo improprio di infrastrutture civili.
Il vero capolavoro, però, sta nella direzione satirica: non si tratta solo di far ridere. È un attacco diretto alla narrativa di onnipotenza dei CEO tech. Usare proprio le loro voci, rese banali e ridicole, per sputare verità grottesche e distorte in bocca loro è una forma di culture jamming digitale. Una parodia armata di tecnologia, dove il nemico non è il semaforo, ma la cultura che ci ha portati a venerare individui che ci vendono futuro mentre giocano con la realtà come se fosse un’istanza privata di un gioco sandbox.
In tutto ciò, la vera domanda non è “chi l’ha fatto?”, ma “perché non è successo prima?”
Benvenuti nel metaverso del ridicolo. Ma attenti al verde.