Netflix ha deciso di rovesciare il tavolo ancora una volta, e stavolta lo fa alzando l’asticella dell’esperienza utente con un motore di ricerca alimentato da OpenAI. Non più solo “azione”, “thriller” o “con Will Smith”, ma qualcosa di molto più profondo: “voglio qualcosa di malinconico ma con un finale ottimista”, oppure “una serie che mi faccia compagnia mentre cucino con il gatto sulle ginocchia”. Fantascienza? No, Australia e Nuova Zelanda su iOS, ora. Presto anche negli Stati Uniti. Il futuro dell’intrattenimento non è nei contenuti: è nel modo in cui li cerchi.
Netflix sta testando questa nuova funzione in una modalità opt-in, il che significa che solo chi accetta di provarla potrà accedere a questa nuova frontiera del consumo digitale. Il test è già partito in due mercati culturalmente distanti da Hollywood, un segnale interessante: Netflix non vuole solo capire come funziona la ricerca semantica, ma come diverse culture interagiscono emotivamente con l’intrattenimento. Il fatto che il rollout sia solo su iOS, e non ancora previsto su Android o TV, non è casuale: Apple rappresenta il pubblico “premium”, quello che Netflix vuole profilare per primo. Il risultato? Una massa critica altamente segmentata e ad alto valore che permetterà al sistema di affinare i prompt e le risposte.
Secondo quanto riportato da Bloomberg e confermato a The Verge dalla portavoce MoMo Zhou, questo nuovo tipo di ricerca permetterà di andare oltre i parametri classici, introducendo query basate sull’umore, sulla situazione personale o su esperienze pregresse. È il passaggio dal “cosa vuoi guardare?” al “come ti senti?”. Si tratta di una UX che si modella sullo stato d’animo, non più sul genere. È una Netflix che vuole diventare terapeuta, confidente, partner da divano. Non ti suggerisce più cosa vedere, ti capisce. Almeno, questo è il piano.
Il motore che alimenta questo salto quantico è ovviamente OpenAI. Anche se da San Francisco non sono arrivati commenti ufficiali, il coinvolgimento della startup fondata da Altman è più che confermato. L’algoritmo non si limita a leggere parole chiave, ma interpreta. E qui sta il punto nevralgico: Netflix non sta solo cercando una UX migliore, sta tentando di creare un’intelligenza artificiale che ti capisce meglio del tuo psicanalista.
Greg Peters, co-CEO di Netflix, lo aveva già anticipato un anno fa in un’intervista a Decoder, lasciando intendere che l’azienda era da tempo impegnata a esplorare come l’intelligenza artificiale potesse migliorare sia l’esperienza dell’utente sia la vita dei creatori. Ma questa mossa è tutt’altro che “proattiva” in senso passivo. Qui si tratta di un ribaltamento di paradigma. Non è più l’utente che si adatta alla piattaforma, ma la piattaforma che entra nella sfera psicoemotiva dell’utente.
La logica industriale dietro questo sviluppo è chirurgica. Netflix non produce solo contenuti, produce tempo di attenzione. E l’attenzione è sempre più selettiva, distratta, compressa. Inserire un’interfaccia conversazionale che ti porta al contenuto giusto senza scorrere centinaia di titoli significa aumentare il tempo di visione, ridurre l’ansia da scelta e fidelizzare in modo quasi affettivo. È come se Netflix volesse dirti: non perdere tempo a pensare, lascia fare a me.
Da un punto di vista di business, questo è un colpo da manuale. Integrare OpenAI nel sistema di ricerca non è solo una feature tecnica, è un cavallo di Troia che trasforma ogni interazione utente in un nuovo set di dati conversazionali. Stiamo parlando della possibilità per Netflix di profilarti non solo su cosa guardi, ma su come ti senti mentre lo guardi. E questi dati, in epoca cookieless, sono il nuovo oro.
Resta da capire come reagirà il pubblico. Perché se da un lato l’idea di “una Netflix che ti capisce” suona rassicurante, dall’altro apre un vaso di Pandora etico e culturale. Cosa significa davvero che una piattaforma di intrattenimento legge il tuo stato d’animo? Quanto margine c’è tra suggerire e manipolare? E soprattutto, chi ha il controllo: tu, o l’algoritmo?
Per ora, tutto questo è solo un test. Ma i test di Netflix raramente restano confinati. Anzi, spesso sono il preludio a rivoluzioni che gli altri si affannano a inseguire mesi dopo.
Fonte: Bloomberg su Netflix e OpenAI