È affascinante osservare come l’industria tech, in particolare i titani del settore, continui ad avventurarsi in quella che sembra una corsa all’oro digitale: l’intelligenza artificiale. Ma mentre scavano a mani nude con badili d’oro in cerca della prossima “general intelligence”, qualcosa comincia a scricchiolare nella narrazione. Gli investitori – quei bastardi razionali – stanno iniziando a porsi domande che fino a ieri sembravano eresia: “E se stessero spendendo troppo?”

Robert Ruggirello, CIO di Brave Eagle Wealth, ha messo il dito nella piaga con una dichiarazione chirurgica: se i mega-cap tech rallentano la corsa al capex sull’AI, potrebbe addirittura essere visto come un segnale positivo dai mercati. In un mondo in cui ogni CFO è ossessionato dal burn rate, un taglio mirato agli investimenti può far lievitare le quotazioni più di una trimestrale da record. Perché? Perché la vera arte non è crescere, ma crescere con grazia, senza dissanguarsi.

E invece Alphabet – nella sua eterna guerra contro la fisica dei server – ha appena giurato di investire 75 miliardi di dollari per costruire infrastrutture data center. Per dare un’idea della scala: nel solo Q4 2024, l’azienda ha speso 14 miliardi, spalmati su Google Services, Google Cloud e la sempre affamata DeepMind. Il tutto mentre l’intero settore – tra Alphabet, Amazon, Meta e Microsoft – si prepara a gonfiare il proprio capex a 322 miliardi, circa il 40% in più rispetto alle aspettative dell’anno.

Quello che emerge è un paradosso: da un lato, l’AI è la prossima rivoluzione industriale, un mercato da triliardi. Dall’altro, l’effetto “overbuild” è già in agguato. Troppe GPU, troppi rack, troppa elettricità in cerca di un ROI che, al netto del marketing, spesso non esiste ancora. La narrativa del “moat” tecnologico funziona solo fino a quando la cassa regge. Poi diventano solo server costosi che surriscaldano l’Arizona.

E i numeri non mentono. Guardando le metriche di Seeking Alpha, la fotografia è brutale. Tutti i top player tech da Apple a Nvidia, passando per Microsoft – stanno perdendo valore YTD. Solo Palantir è in positivo (e questo la dice lunga sullo stato mentale del mercato). Peggio ancora: molti di loro stanno aumentando le spese in conto capitale senza risultati tangibili in borsa. Nvidia, per esempio, ha aumentato il capex del 202.71% in un anno e si trova comunque a -23% YTD. Un capolavoro di ottimismo mal ripagato.

Adobe, l’unica ad avere una valutazione “Buy” nel Quant Rating, ha invece tagliato il capex del 41.89%. C’è una lezione qui dentro: forse chi spende meno e ottimizza, oggi, piace di più a Wall Street. Non serve l’intelligenza artificiale per capirlo, solo un po’ di sana logica finanziaria.

In tutto questo, l’ossessione per l’AI sta rivelando la sua vera faccia: non è (ancora) una gallina dalle uova d’oro. È un buco nero di capitale dove solo i più scaltri – o i più cinici – sopravvivranno. Se il settore non rallenta, il rischio è un reset brutale, una corsa agli armamenti che diventa insostenibile e schiaccia la marginalità. E in quel momento, gli investitori non chiederanno quanti LLM hai addestrato, ma quanti soldi hai bruciato.

I CEO farebbero bene a rimettere il foglio Excel sopra il keynote. L’AI può essere il futuro, ma oggi è ancora un PowerPoint costoso con grafici sexy e zero free cash flow.