Quando una narrazione troppo perfetta puzza di falso, c’è spesso un motivo. Jianwei Xun, presunto filosofo di Hong Kong, autore del controverso ma acclamato Hypnocracy, non è mai esistito. O, per meglio dire, è esistito solo come idea. Ologramma culturale. Fantasma performativo dell’intelligenza artificiale.
Dietro questa maschera orientaleggiante, evocativa e calibrata per scivolare nei cataloghi di filosofi cosmopoliti da festival, c’era invece Andrea Colamedici editore italiano e illusionista concettuale coadiuvato da Claude di Anthropic e ChatGPT di OpenAI. Due cervelli sintetici per confezionare un pensiero altrettanto sintetico, costruito ad arte per sedurre un Occidente affamato di verità mistiche e distopiche.
La truffa non è nemmeno stata ben mascherata. Basta dare un’occhiata alla scheda del libro su Amazon, o alle prime versioni del sito ufficiale del “filosofo”, salvate diligentemente dalla Wayback Machine: una biografia scritta con lo stesso tono con cui si generano i profili LinkedIn da manuale. Nato a Hong Kong, studi a “Dublin University” — che, a proposito, non esiste — e un pensiero a metà tra il taoismo 2.0 e Foucault impastato con gli hallucination dell’IA.

Colamedici, di fronte allo smascheramento, ha giocato la carta del genio malinteso. “Era tutto previsto,” dice. “Un esperimento ontologico.” Peccato che la trasparenza sull’autorialità fosse arrivata solo dopo l’inchiesta di L’Espresso, che ha sollevato il sipario su questo Truman Show della filosofia.
Eppure Hypnocracy ha fatto il botto. Pubblicato in francese da Philosophie Magazine, amato dal presidente Macron (almeno secondo L’Opinion), celebrato al World AI Cannes Festival, e ora in procinto di essere rilanciato da Gallimard in nuova traduzione. La Spagna lo attende il 20 aprile, probabilmente ignara di star leggendo un’intelligenza artificiale travestita da cervello orientale.
Il contenuto del libro, va detto, colpisce nel segno. Denuncia il potere ipnotico di personaggi come Trump e Musk, non con argomentazioni nuove, ma con una forma che seduce l’intellettuale in cerca di pattern nascosti. Trump viene descritto come il re della ripetizione: parole che diventano gusci vuoti, ma carichi di magnetismo simbolico. Musk, invece, è l’alchimista delle promesse: colonie su Marte, chip cerebrali, visioni futuristiche destinate a non concretizzarsi, ma capaci di riscrivere l’immaginario collettivo. L’idea centrale è quella della hypnocracy, un regime che non reprime, ma modula l’inconscio attraverso algoritmi e narrazioni ricorsive.
In altre parole: fake news, ma con lo zucchero a velo dell’ermeneutica accademica.
Il paradosso è che proprio questa operazione, che accusa i nuovi demiurghi digitali di manipolare la realtà, utilizza gli stessi strumenti per imporsi come oggetto culturale. Colamedici non ha solo creato un autore fake. Ha creato un bisogno di quell’autore. Ha messo in scena un filosofo che sembrava più reale del reale perché rispondeva esattamente alle aspettative di chi legge filosofia nel 2025: orientale, criptico, marginale, ma visionario.
La mossa non è priva di rischi legali. L’AI Act dell’Unione Europea, entrato in vigore nel marzo 2024, considera la mancata etichettatura di contenuti generati da intelligenze artificiali come violazione grave. E qui il gioco di Colamedici rischia di trasformarsi da provocazione filosofica a caso giudiziario. Una beffa in stile Borges che finisce nei tribunali di Bruxelles.
La semiologa Laura Ruggieri, che ha fiutato la bufala già a febbraio, mette il dito nella piaga: “Se Colamedici avesse usato il suo vero nome e dichiarato l’uso dell’AI, il libro non lo avrebbe comprato nessuno.” E qui casca l’asino. Il pensiero, per quanto interessante, aveva bisogno di un mito per vendersi. Un’identità costruita su misura per il mercato editoriale. Un’operazione che, al netto delle velleità filosofiche, resta essenzialmente marketing. Camuffato da filosofia.
È significativo che né Trump né Musk abbiano risposto alle richieste di commento. Probabilmente si stanno godendo lo spettacolo, loro che da anni cavalcano il confine tra realtà e finzione con la stessa disinvoltura con cui Xun (o meglio, i suoi creatori) ha colonizzato il subconscio europeo.
Non è la prima volta che un filosofo immaginario viene scambiato per autentico. Ma è forse la prima volta che un algoritmo riesce a pubblicare con Gallimard.
Chi ha detto che l’AI non è creativa?