Mentre il mondo tech continua a rotolare tra bolle di hype e delusioni strutturali, Google sta affinando la sua arte preferita: licenziare senza far troppo rumore. Dopo il teatrale taglio del 2023, quando 12.000 dipendenti furono mandati a casa in un solo colpo (il 6,4% della forza lavoro), oggi Mountain View ha imparato a fare il macellaio con il silenziatore. Niente più fuochi d’artificio, niente più comunicati stampa epocali. Solo tagli chirurgici, distribuiti nel tempo, a colpi di “qualche centinaio di persone” qua e là. Più discreto, meno PR tossica, ma altrettanto letale.

La strategia è semplice, quasi elegante nella sua brutalità. Colpire ogni area con piccole ondate: vendite pubblicitarie, hardware, ingegneria, assistente virtuale, cloud, il reparto X da sempre specializzato in sogni impossibili (e costi altrettanto visionari), e – ultimo ma non meno importante – l’intero comparto Android, Chrome e Pixel. Tradotto: tagli ovunque ci siano muscoli che non portano più valore immediato.

Il conteggio totale? Ovviamente avvolto nella nebbia. Google sa perfettamente che annunciare “qualche centinaio” alla volta è un modo per volare sotto i radar. Nessun titolo esplosivo, nessuna sommossa interna. E nel frattempo, i numeri raccontano una realtà contorta ma coerente: a fine 2024, Google dichiara di avere 183.323 dipendenti, circa 800 in più rispetto a fine 2023. Quindi sì, sta ancora assumendo. Ma solo dopo aver tolto il grasso.

C’è una nuova figura dietro le quinte, e il suo nome è Anat Ashkenazi, nuova CFO con il piglio della revisora dei conti dell’apocalisse. Dal suo debutto nell’estate scorsa, ha chiarito che continuerà il lavoro chirurgico di Ruth Porat. Nessun dipartimento è troppo sacro per non essere “ottimizzato”. Lo ha detto con eleganza: “Ogni organizzazione può sempre spingersi un po’ oltre”. La traduzione in lingua franca aziendale è: “abbiamo ancora margini per licenziare senza che ci crolli il castello.”

E come se non bastasse, ecco l’altro pezzo del puzzle: la pressione competitiva. ChatGPT e i suoi fratelli stanno erodendo il cuore pulsante di Google – la Ricerca – svuotando la gallina dalle uova d’oro una query alla volta. Non si tratta più solo di sopravvivere, ma di reinventarsi in un mondo dove il monopolio informativo non è più garantito.

Nel frattempo, come un pachiderma che scopre la dieta keto, Google prova a diventare agile. A tagliare l’eccesso. A muoversi come una startup, anche se è un Leviatano. L’obiettivo è chiaro: meno sprechi, più margine, e abbastanza liquidità da continuare a giocare la partita dell’AI senza finire come Yahoo.

La morale è sempre la stessa: il capitalismo della Silicon Valley premia chi sa fare due cose contemporaneamente – vendere sogni e tagliare teste. E oggi, Google lo sta facendo con un’efficienza quasi algoritmica.