La Silicon Valley, si sa, ama gli enfant prodige. Ma quando l’ex chief scientist di OpenAI, Ilya Sutskever, si mette in proprio per fondare un’azienda chiamata Safe Superintelligence (SSI), con l’intento non tanto velato di creare un’Intelligenza Artificiale “super” ma anche “sicura”, l’élite tech reagisce come i venture capitalist davanti al nuovo Steve Jobs: tirando fuori i portafogli prima ancora che il pitch sia finito.

Secondo fonti vicine alla questione (la versione moderna del “un amico mi ha detto”), Alphabet e Nvidia – due entità che solitamente non giocano nella stessa sandbox senza stringere i pugni hanno deciso di unirsi a un round di finanziamento che ha catapultato SSI a una valutazione di 32 miliardi di dollari. Il round è stato guidato da Greenoaks, uno dei soliti noti nel panorama del venture capital high-stakes, quelli che scommettono forte e spesso sulle scommesse più pericolose: modelli AI di frontiera, che bruciano chip come fossero carbone in una locomotiva dell’Ottocento.

La notizia non è ancora ufficialmente commentata né da Alphabet né da Nvidia, ma è emblematica di un trend ormai evidente: i big della tecnologia stanno iniziando a comportarsi come dealer, non solo fornendo infrastruttura, ma anche investendo direttamente nei propri clienti più dipendenti. Un modo elegante per dire “se vi do i chip, voglio anche una fetta della torta se diventate un colosso”.

E qui entra in scena la seconda mossa, ancora più interessante: l’accordo siglato da Google Cloud per vendere a SSI accesso massiccio ai suoi Tensor Processing Units (TPU), i chip fatti in casa da Alphabet e inizialmente riservati alle proprie AI interne. Traduzione: Google ha deciso che è ora di monetizzare il suo arsenale tecnologico aprendolo a chiunque possa dimostrare di avere la fame, l’ambizione e – ovviamente – il capitale per pagarne l’uso.

La scelta di SSI di puntare tutto sui TPU invece che sulle GPU di Nvidia, che finora dominano l’80% del mercato AI, suona come una piccola rivoluzione. O forse è solo una mossa strategica per ottenere condizioni migliori da entrambi i fornitori. Perché in questo gioco, non si parla solo di efficienza computazionale, ma anche di geopolitica aziendale, dove ogni chip concesso o negato può influenzare la traiettoria di un intero ecosistema di startup.

Come spiega Darren Mowry, direttore di Google per le partnership con le startup, “la gravità si sta spostando sempre più verso di noi”. E come dargli torto? Quando Alphabet, Nvidia e perfino Amazon iniziano a investire nei loro stessi clienti, significa che il futuro dell’IA non si giocherà solo sul campo dell’innovazione tecnica, ma su quello delle alleanze strategiche.

Amazon, nel frattempo, non resta a guardare. Dopo aver pompato miliardi in Anthropic, rivale diretta di OpenAI e SSI, ha già costruito una super-infrastruttura basata sui propri chip Trainium e Inferentia. Un altro esempio di verticalizzazione totale: se vuoi dominare il mercato AI, devi controllare sia il software sia l’hardware. Ma Anthropic, pur corteggiata da Seattle, continua a spendere cifre folli su Google Cloud e i suoi TPU, segno che la concorrenza resta aperta e fluida.

E intanto Nvidia gioca su più tavoli. Ha già investito in OpenAI, in xAI di Elon Musk, e ora in SSI. Perché se c’è una cosa che Jensen Huang ha capito prima degli altri è che, nel gioco dell’intelligenza artificiale, non esistono amici ma solo pipeline di calcolo da saturare.

Questa convergenza tra fornitori di chip, servizi cloud e laboratori di IA ricorda un po’ l’economia feudale del Medioevo: i signori delle terre (Google, Amazon, Nvidia) concedono i propri campi (data center, chip, API) ai vassalli (OpenAI, Anthropic, SSI) in cambio di fedeltà, dati, modelli, e una bella percentuale sul bottino futuro. Il tutto condito da un marketing infarcito di etica artificiale, sicurezza dell’intelligenza e altre buzzword per placare l’ansia di regolatori e opinione pubblica.

Ma la realtà è un’altra: il controllo dell’intelligenza artificiale del futuro sarà deciso da chi oggi possiede i chip, e da chi riesce a convincere gli scienziati migliori a restare. E nel caso di Ilya Sutskever, basta il nome per attirare l’intero ecosistema a orbitare attorno a SSI come una nuova stella nel firmamento dell’IA.