In un mercato sempre più saturo di fuffa e slide patinate, dove tutti si dichiarano pionieri dell’intelligenza artificiale, SenseTime ha deciso di alzare la voce e i numeri. L’azienda cinese ha lanciato due nuove versioni della sua suite AI, SenseNova V6 e V6 Reasoner, con una dichiarazione che ha il sapore del guanto di sfida: siamo meglio di OpenAI, punto.

Mentre in Occidente ci si perde tra conferenze stampa dal retrogusto evangelico e annunci scritti come se fossero la quarta sinossi di un film Marvel, in Cina si lavora. E i risultati, per quanto tutti da verificare sul campo, iniziano a diventare ingombranti. SenseTime afferma che il nuovo modello V6, equipaggiato con 600 miliardi di parametri una cifra che fa impallidire anche GPT-4o – ha surclassato il rivale americano in discipline fondamentali per l’AI del presente e del futuro: fact-checking, ragionamento numerico, analisi e visualizzazione dei dati. Tutte aree dove la precisione conta, e il marketing si ferma alla porta.

Xu Li, CEO e chairman del gruppo, ha snocciolato i risultati facendo riferimento a TableBench, una piattaforma indipendente che si propone come metro di paragone neutrale nel Far West dell’AI. Secondo questi benchmark, il V6 Reasoner non solo ha “ragionato meglio”, ma ha anche consumato meno risorse, offrendo il miglior costo-performance del settore. Una frecciatina nemmeno tanto velata a chi in Occidente punta su modelli da miliardi di dollari ma ancora allergici alla logica più spicciola.

Il fatto che SenseTime sia riuscita a costruire un modello multimodale con una tale densità di parametri e allo stesso tempo contenere i costi di inferenza è l’indicatore chiave. In un mondo dove ogni token ha un prezzo, e ogni chiamata API può bruciare più soldi di un caffè in Piazza San Marco, la scalabilità efficiente è il vero campo di battaglia. E su questo fronte, il V6 sembra voler fare scuola.

Ma attenzione: i benchmark sono solo la metà della storia. Il vero nodo è l’applicabilità concreta. SenseTime ha un vantaggio strategico che a San Francisco si sognano: accesso diretto e senza freni ai dati, un’infrastruttura di calcolo sovvenzionata dal governo e una base d’utenza abituata a interagire con l’AI ogni giorno, dalla videosorveglianza alla fintech. In questo contesto, la rapidità nell’addestramento e nel deployment non è una variabile, è lo standard.

È chiaro che la sfida non è solo tecnologica, ma geopolitica. Se l’Occidente continua a trattare l’intelligenza artificiale come una demo da presentare a Davos, mentre in Oriente la si implementa a livello sistemico, il divario non sarà solo su chi “ragiona meglio”, ma su chi controlla le fondamenta del prossimo ciclo industriale.

La partita è appena iniziata, ma il fatto che oggi non sia OpenAI a dettare l’agenda è già un segnale chiaro. SenseTime non cerca hype, cerca dominio. E lo sta facendo con un modello che, se confermato, potrebbe ridisegnare la mappa dell’intelligenza artificiale globale.