Bill Gates ha recentemente buttato un sasso nello stagno durante una chiacchierata apparentemente leggera con Jimmy Fallon.

In una puntata del “Tonight Show”, lo storico co-fondatore di Microsoft ha detto senza troppi fronzoli che nel giro di dieci anni l’essere umano diventerà opzionale in molte delle funzioni oggi considerate nobili, complesse e inaccessibili: medicina ed educazione in primis.

Il motivo? L’Intelligenza Artificiale sarà talmente evoluta da non rendere più necessaria la presenza di un medico eccellente o di un insegnante straordinario.

L’intelligenza quella vera, dice Gates – diventerà gratuita, ubiqua, distribuita, democratica. O almeno questa è la promessa.Dietro al sorriso da late night show, c’è però un’osservazione spietata. Il talento umano, che oggi è raro e scarsamente distribuito, sarà sostituito da algoritmi capaci di replicarlo su scala globale, senza pause caffè né sindacati.

Gates definisce questo scenario come l’alba di una nuova era: Free Intelligence. Una frase che fa rima con “fine della meritocrazia” e “obsolescenza del professionista”.

Non sarà più necessario sudare dieci anni tra corsi di medicina e tirocinio per diagnosticare una polmonite, né passare una vita tra classi pollaio e lavagne digitali per insegnare matematica: ci penserà un chatbot, educato da milioni di dati, con una voce rassicurante e una pazienza infinita.

Nel dialogo con Arthur Brooks, professore di Harvard ed esperto di felicità, ironia della sorte , Gates ha rincarato la dose. L’AI, dice, si insinuerà in ogni aspetto della vita quotidiana, come un’infezione benigna: diagnosi mediche, tutoraggio scolastico, consulenze legali, scelte alimentari, gestione delle emozioni.

E tutto questo sarà gratis. O almeno apparentemente gratis, perché i costi veri saranno pagati in altre valute: centralizzazione del sapere, dipendenza cognitiva, perdita di agency.Il messaggio che filtra tra le righe è brutale: l’essere umano come l’abbiamo conosciuto fallibile, formabile, indispensabile, è un modello in via di estinzione.

La nuova utopia tecnologica non ha più bisogno di eccellenze: bastano buoni dati e infrastrutture cloud. Nessuna vocazione, nessun carisma, nessun maestro.

Solo prompt ben formulati.Dietro la facciata di progresso si profila uno scenario che farebbe impallidire anche i più ottimisti tra i transumanisti.

Non si tratta più di sostituire il lavoro manuale con i robot, ma di archiviare intere categorie di “intelligenza umana” come inefficienti. I medici saranno ridotti a validatori di decisioni prese da una rete neurale, e gli insegnanti a tutor emotivi in aula, mentre la lezione sarà impartita da un’IA su misura per ciascuno studente. Eppure, Gates lo presenta come un bene pubblico. Una forma di emancipazione collettiva.

Perché, in fondo, se l’intelligenza diventa gratuita e accessibile a tutti, chi può più lamentarsi della disuguaglianza? Ma la verità è che questa gratuità, come tutto ciò che è apparentemente “libero” nel digitale, avrà un prezzo: la dequalificazione dell’umano.

Per chi ha costruito la Silicon Valley mattoncino dopo mattoncino, la riduzione dell’uomo a nodo terminale in una rete di intelligenze artificiali è forse il compimento di una profezia. Ma per chi vive ancora nel mondo reale, quello dei corridoi d’ospedale e delle aule scolastiche sovraffollate, suona più come una resa incondizionata.Gates non ha detto tutto questo con tono minaccioso. Ma non ne aveva bisogno.

È l’enfasi con cui lo chiama “free intelligence” a farci capire che il futuro non sarà più una conquista dell’intelletto umano, ma una sua sostituzione industriale. E a quel punto, la vera domanda sarà: quanto vale ancora essere umani?