Mentre tutti applaudono all’efficienza dei chatbot, i creatori di contenuti stanno scoprendo a proprie spese che l’intelligenza artificiale non è solo un alleato, ma anche un predatore. Il paradosso è servito: il progresso tecnologico, che da anni viene cavalcato da blogger, influencer e microeditori per monetizzare audience e traffico web, ora si sta ritorcendo contro di loro sotto forma di AI Overviews, Panoramiche Intelligenti e motori di ricerca che “rispondono” senza più bisogno di cliccare.
Fino a ieri, la SEO era la Bibbia. Bastava un titolo accattivante, qualche parola chiave ben piazzata e l’immancabile link affiliato piazzato come una trappola per topi: qualcuno cercava “miglior estrattore di succo 2025”, finiva sul tuo blog, leggeva il tuo articolo pseudo-obiettivo e cliccava su Amazon. Il gioco era fatto. Una commissione del 10-20%, moltiplicata per qualche migliaio di visitatori, significava soldi veri. Oggi, quella catena si spezza all’origine.
Strumenti come ChatGPT e Perplexity non mandano più traffico, lo trattengono. Google, con i suoi riassunti in cima ai risultati, taglia le gambe a chi viveva di “how to” e “best of”, per questo il traffico da Google è già sceso del 5,5% su base annua solo a marzo. E siamo solo all’inizio.
La posizione di Google? Una pacca sulla spalla e un sorriso da PR: “Mostriamo link a più fonti, il traffico che arriva è più qualificato”. Tradotto: meno utenti, ma migliori. Peccato che “migliore” non paghi le bollette.
Il sistema è sempre più chiuso. Google ottimizza per trattenerti, non per mandarti via. Non vuole che tu vada sul sito di una food blogger, vuole che tu legga direttamente la ricetta nella Panoramica AI. È il classico modello “tutto in casa”, come Amazon che vende anche le batterie a marchio proprio e piazza i prodotti sponsorizzati sopra a tutto.
Il mondo dei creator reagisce, come può. Si riorganizza. Spinge sulle newsletter, punta sulla fidelizzazione, sul traffico diretto, sugli iscritti affezionati che cliccano su un link perché si fidano, non perché li ha mandati un algoritmo. È la transizione forzata dal traffico “freddo” al traffico “caldo”. Dal click opportunistico al legame personale.
Non tutti però sono nei guai. I creator più social-centrici, quelli che vivono su TikTok e Instagram, sembrano essere immuni almeno per ora. Non dipendono dalla ricerca, ma dalla loro community. La fiducia è la nuova SEO.
Ma anche qui, attenzione. Sam Altman, CEO di OpenAI, ha già fatto intuire che in futuro ChatGPT potrebbe diventare un canale di vendita in sé. Un Amazon conversazionale, dove l’utente chiede un consiglio e compra direttamente dal chatbot. E indovina un po’? OpenAI si prenderà una fetta della transazione. Forse ci sarà spazio anche per i creator, magari in revenue sharing. Ma a quel punto saranno solo un’altra goccia nella filiera, sempre più distanti dal cliente, sempre più dipendenti da piattaforme opache e arbitrarie.
La creator economy, quella vera, rischia di diventare un colabrodo. Un business dove la proprietà dei dati, la relazione con l’audience e la visibilità sono gestite da terzi. E dove ogni innovazione ti obbliga a reinventarti o scomparire.
Benvenuti nell’era in cui i link di affiliazione muoiono nel riassunto AI, e il contenuto si consuma direttamente in SERP. Il futuro dei creator? O è disintermediazione radicale, o è solo l’ennesimo ciclo di sfruttamento a margine.