Jack Ma è tornato. No, non con un IPO o una rivoluzione del mercato. È riapparso a Hangzhou campus, badge da impiegato al collo come fosse un giovane neoassunto, per arringare le truppe del suo impero ormai focalizzato non più sullo shopping online, ma sull’intelligenza artificiale. E, come ogni buon fondatore che si rispetti dopo anni di silenzio e auto-esilio semi-volontario, ha fatto ciò che solo i grandi imprenditori-filosofo sanno fare: parlare di tecnologia con parole da poeta zen, sfiorando il misticismo. Ma dietro la retorica, c’è una mutazione darwiniana in atto dentro Alibaba, e va analizzata senza inciampare nei petali del suo Blossom Project.

Jack Ma, 60 anni, uno dei simboli dell’era d’oro tech cinese, ha dichiarato che l’AI non dovrebbe puntare a “conquistare galassie e oceani”, ma a proteggere il “fumo e il fuoco del mondo mortale”. Tradotto per chi non legge i classici cinesi al mattino: l’AI serve a migliorare la vita concreta delle persone, non a costruire Skynet o sogni da tech-evangelisti della Silicon Valley. È un appello tanto nobile quanto, diciamolo, strategicamente calcolato. Perché mentre in Occidente si lotta tra open e closed source, copyright e regolazioni etiche, Alibaba punta a posizionarsi come il provider umano e responsabile dell’intelligenza artificiale in Cina.

La scena della visita a sorpresa alla sede di Alibaba Cloud è chiaramente studiata. Jack Ma, l’uomo che ha trasformato un’azienda di garage in un colosso, ora indossa il badge aziendale come un qualsiasi middle manager. Ma dietro l’apparente umiltà, il messaggio è uno solo: “sono ancora io il cuore spirituale di questo gruppo”. Un gesto teatrale, tipico di chi sa bene quanto conti la narrazione interna in un’azienda in piena mutazione genetica.

Ma ha insistito sul fatto che l’AI deve servire l’uomo, non rimpiazzarlo. Che i modelli devono capire l’umano, pensare come l’umano, fare ciò che l’umano non può, ma sempre con un obiettivo chiaro: dare dignità, non alienazione. Una risposta sottile alla crescente paura globale verso un’intelligenza artificiale fuori controllo. Anche se, diciamolo, da un punto di vista imprenditoriale, Ma sta posizionando Alibaba in quella zona di comfort narrativa dove “AI etica e utile” diventa il nuovo USP da vendere a governi e aziende.

La verità più cruda è che Alibaba ha bisogno dell’AI come l’aria. L’e-commerce ha smesso da tempo di essere il motore trainante, e l’unico modo per restare rilevanti in un contesto economico e geopolitico incerto è cavalcare il cavallo dell’intelligenza artificiale, possibilmente senza farsi disarcionare dalle regolazioni di Pechino. E così, sotto la bandiera della responsabilità sociale, si lancia il progetto Blossom, un bouquet preconfezionato di infrastruttura, modelli, dati e servizi per portare l’AI a milioni di clienti. Ovvero: vendere AI come SaaS, IaaS, PaaS e qualsiasi altra sigla venga in mente.

Alibaba Cloud, che domina un terzo del mercato cinese, è il cavallo di Troia con cui il gruppo spera di ridefinirsi. Ha già prodotto i modelli Qwen, una delle famiglie open-source più usate al mondo, e con oltre 100.000 modelli derivati sviluppati da terze parti, si sta posizionando come il vero ecosistema alternativo a Hugging Face e OpenAI. E, cosa che in Occidente si sottovaluta, in un’epoca dove l’open source è sotto assedio, Alibaba lo usa per costruire consenso e adozione globale senza dover vincere ogni gara tecnologica sul piano qualitativo.

Certo, mentre Jack Ma filosofeggia, il mercato ha reagito con il solito cinismo algoritmico: le azioni di Alibaba hanno perso il 2,2% nella sessione mattutina a Hong Kong. Un piccolo reminder che la borsa apprezza più i numeri degli aforismi. Ma il messaggio è chiaro: Alibaba non vuole solo fare AI, vuole essere l’azienda che fa AI per gli umani, con cuore confuciano e margine operativo positivo.

E se ti sembra troppo idealistico, ricorda: le migliori strategie aziendali si nascondono sempre dietro le più nobili dichiarazioni morali.