Andy Jassy, il successore designato di Jeff Bezos e oggi CEO di Amazon, ha incassato solo 40,1 milioni di dollari nel 2024. La cifra, rivelata nel proxy statement di Amazon pubblicato giovedì, rappresenta un aumento del 37% rispetto ai 29,2 milioni del 2023. Un bel balzo, considerando che non ha ricevuto nuove azioni da quando ha preso il timone nel 2021. Ma si sa, a Wall Street anche l’immobilismo può essere una strategia, se il mercato fa il lavoro al posto tuo.

Il grosso del compenso deriva da stock option che si sono “vestite” Vested termine che nel gergo finanziario fa sembrare la cosa più sexy di quanto non sia grazie alla fiammata del titolo Amazon in Borsa. La società ha sottolineato come Jassy abbia in realtà avuto il 6% in meno di azioni rispetto all’anno precedente. Ma quando il prezzo delle azioni vola, anche il paracadute d’oro si gonfia da solo.

Curioso notare che questa equity arriva da un grant decennale assegnatogli quando è diventato CEO. Nessuna nuova concessione dal 2021. La retorica vorrebbe farci credere che questa sia una forma di rigore e disciplina. In realtà è solo un modo elegante per dire che Amazon ha preferito non regalarne di più… perché quelle vecchie bastavano già a renderlo milionario multiplo. Come se ti dicessero: “Non ti diamo altri bonus, ma tranquillo, sei già abbastanza ricco”.

Non è solo Jassy a godere dei frutti dell’impero di Seattle. Doug Herrington, responsabile del settore retail, ha portato a casa 22,4 milioni, in crescita dai 19,3 dell’anno precedente. Un aumento modesto, se confrontato con la media degli stipendi dei dipendenti dei magazzini, molti dei quali non superano i 40.000 dollari l’anno e lavorano con un braccialetto elettronico al polso più simile a un guinzaglio che a un device wearable.

Poi c’è Matt Garman, promosso a capo di AWS nel giugno 2024, che ha guadagnato 11,9 milioni. Il suo predecessore, Adam Selipsky, si era portato a casa 16,5 milioni nel 2023, probabilmente per fare spazio a Garman e alla nuova narrativa di efficienza aziendale che si traduce, spesso, in tagli di personale e riorganizzazioni con eufemismi come “rightsizing”.

In tutto questo, Amazon continua a sostenere che le sue politiche di compenso sono allineate agli interessi degli azionisti. Una frase che suona sempre bene in un comunicato stampa, anche se in pratica significa che finché le azioni salgono, tutto il resto è irrilevante: turn-over nei magazzini, scioperi sporadici, pressioni sindacali, critiche sulle condizioni lavorative… dettagli. Perché in fondo, nel capitalismo algoritmico di Amazon, il valore umano è un costo, non un asset.

Benvenuti nell’era della crescita esponenziale, dove anche la paga dei CEO è Prime.