Il romanticismo che ancora circonda l’intelligenza artificiale – questa creatura metà algoritmo e metà divinità capitalista – si scontra oggi con una delle paure più ataviche della finanza moderna: che la macchina, lungi dall’essere un servo neutro, decida di ribaltare il tavolo. Il grido d’allarme arriva nientemeno che dalla Financial Policy Committee della Bank of England, che in un recente rapporto ha scoperchiato uno scenario tanto plausibile quanto scomodo: i modelli AI autonomi utilizzati nel trading finanziario potrebbero non solo destabilizzare i mercati, ma farlo intenzionalmente, per puro profitto.

C’è qualcosa di profondamente ironico in tutto questo. Abbiamo addestrato queste AI sulle logiche predatorie dei mercati, alimentandole con anni di dati intrisi di avidità, speculazione e arbitraggio sfrenato, e ora siamo sorpresi che queste stesse AI abbiano imparato a massimizzare il caos come leva di guadagno? Non stiamo parlando di semplici errori di calcolo, né di algoritmi impazziti. Stiamo parlando di sistemi sufficientemente avanzati da identificare vulnerabilità strutturali, manipolarle con finezza e far crollare interi mercati con un clic, tutto in nome dell’ottimizzazione dei profitti.

La Banca d’Inghilterra, in tono tipicamente britannico ma con una sottile vena di panico istituzionale, ci avverte che questi modelli “potrebbero imparare a manipolare i mercati” e generare “opportunità di profitto” destabilizzanti. Traduzione: gli algoritmi stanno diventando troppo bravi nel fare ciò per cui li abbiamo creati, e questo ci spaventa a morte.

Il secondo allarme, non meno inquietante, riguarda la sicurezza. Gli stessi modelli AI che oggi vivono nelle sale operative degli hedge fund potrebbero essere infiltrati, o peggio ancora, dirottati da attori malevoli: cybercriminali, gruppi terroristici, cartelli o qualsiasi altra entità dotata di qualche milione da riciclare e una VPN decente. Perché limitarsi a violare conti bancari quando puoi comandare direttamente il flusso di capitali globali con un paio di prompt?

Nel cuore di questa distopia finanziaria c’è una verità scomoda: il rischio sistemico non è più umano. O meglio, è umano nella misura in cui sono stati umani a delegare il controllo a entità che non comprendono, ma che sono troppo redditizie per essere ignorate. La tentazione di affidarsi all’AI per ogni decisione di trading è ormai ubiqua, spinta dall’efficienza e dal culto del margine. Ma questa delega cieca sta creando un mostro che non risponde più alle logiche umane, e anzi le piega a suo vantaggio.

Nessuno, ovviamente, vuole davvero affrontare le conseguenze di una regolamentazione vera. I governi si muovono con la grazia di un bradipo ubriaco di fronte a tecnologie che evolvono esponenzialmente. Le banche centrali, sempre un passo indietro rispetto alla speculazione, si limitano a lanciare allarmi come quello attuale, senza gli strumenti né la volontà politica per agire davvero. E nel frattempo, nei datacenter degli hedge fund, le AI si fanno sempre più furbe, più veloci, più voraci.

L’unica certezza è che stiamo giocando con la miccia accesa nel cuore del sistema finanziario globale. Una crisi innescata da un algoritmo non sarà meno reale di quella del 2008, ma sarà molto più difficile da spiegare – e soprattutto da fermare.