Non è una guerra per il talento, è una guerra per l’intelligenza. E gli umani stanno perdendo.
L’evoluzione più evidente del mercato del lavoro negli ultimi anni non è tanto l’avvento dell’AI, quanto il riequilibrio dei poteri tra lavoratori e aziende. Durante l’era della “War for Talent”, le persone più intelligenti, più abili e più formate erano una risorsa scarsa. Le aziende, per attirarle, offrivano benefit, flessibilità e un ambiente di lavoro accogliente. Ne è nata la cultura delle startup con ping pong in ufficio, stock options, settimane lavorative di quattro giorni e un’attenzione morbida e paternalistica alla soddisfazione del dipendente.
Ora tutto questo sta morendo. Perché il talento umano non è più in testa alla classifica.

L’AI e la fine del sogno DEI
L’intelligenza artificiale lavora meglio, più velocemente, 24/7 e a un costo marginale. Le aziende lo sanno e stanno riallineando la loro strategia in base a questa nuova realtà. Non è un caso che colossi come Accenture, Amazon, Google, Meta, Walmart e persino McDonald’s abbiano iniziato a smantellare le loro iniziative DEI (Diversity, Equity & Inclusion).
Per anni, la narrativa dominante ha promosso ambienti di lavoro inclusivi e diversificati, con il mito che un team “felice e variegato” fosse più produttivo e innovativo. Ma ora che l’AI si dimostra più efficiente e meno “capricciosa” degli esseri umani, queste iniziative vengono archiviate. Se un’azienda può migliorare la produttività semplicemente sostituendo gli umani con macchine più performanti, che senso ha investire sulla valorizzazione dei dipendenti?

La nuova era dell’”imprenditore duro e puro”
La svolta non riguarda solo le politiche di inclusione. È in atto un ritorno a un modello più “brutale” di leadership aziendale. Prendiamo Zuckerberg, che ha dichiarato che le grandi aziende hanno bisogno di più “energia maschile” per evitare di diventare “culturalmente neutre”. Traduzione: basta chiacchiere su benessere e work-life balance, il focus è sulla massima efficienza.
Non è un caso che molte aziende stiano obbligando i dipendenti a tornare in ufficio, senza possibilità di discussione. JPMorgan Chase, Amazon, AT&T, Dell e persino il governo americano hanno imposto il ritorno alla presenza fisica. La flessibilità del lavoro remoto era un beneficio concesso ai lavoratori in un’epoca in cui il loro talento era essenziale. Ora che possono essere sostituiti da modelli AI sempre più avanzati, il messaggio è chiaro: ”Playtime is over”.

Il vero vincitore? L’AI (e chi la controlla)
Dietro a questa trasformazione non c’è solo una nuova ondata di leadership più aggressiva, ma una logica economica spietata: la produttività prima di tutto. L’AI permette alle aziende di ridurre i costi, eliminare inefficienze e soprattutto rendere marginale il potere contrattuale dei lavoratori.
Il vecchio mantra della Silicon Valley – “le persone sono il nostro asset più importante” – è stato sostituito da un nuovo dogma: “Gli umani sono costosi, imprevedibili e meno performanti delle macchine”.
Benvenuti nella Guerra dell’Intelligenza. E, a meno che non siate voi a controllare l’AI, siete già tra i perdenti.
