Nel panorama già sovraffollato delle intelligenze artificiali che vogliono “aiutarti” a lavorare meglio, Google ha appena rilanciato con una mossa che mescola tecnologia avanzata e un pizzico di follia da Silicon Valley: podcast generati dall’IA dentro Google Docs. Sì, hai capito bene. Ora, se volevi ascoltare due voci robotiche discutere del tuo report trimestrale prima che tu lo mandi al capo, Google ha deciso che ne avevi bisogno, anche se non lo sapevi.

La novità rientra nel pacchetto di aggiornamenti Gemini per le Workspace apps. Un’ondata di funzionalità AI che promette di rivoluzionare – o complicare ulteriormente – il nostro modo di scrivere, analizzare e presentare contenuti. Tutto, ovviamente, sotto il mantra onnipresente: “con Gemini al centro”.

La funzione più straniante è proprio questa: trasformare un documento in un podcast. Un’idea che ha fatto il suo debutto su NotebookLM, lo strumento di ricerca AI di Google, e che oggi rientra ufficialmente nella suite Workspace. In pratica, il sistema legge il tuo testo e lo converte in un dialogo tra due avatar digitali che “discutono” i punti salienti del tuo lavoro. Il risultato? Più vicino a un esperimento di teatro postmoderno che a un supporto editoriale reale. Certo, può essere utile ascoltare il proprio testo per cogliere ripetizioni o passaggi deboli, ma l’esperienza è talmente artificiale da far rimpiangere persino il correttore automatico di Word 2007.

Più promettente, invece, è la funzione “Help me refine” in arrivo su Google Docs. Invece di scrivere tutto al posto tuo, come fanno molte AI troppo zelanti, questa opzione si limita a commentare il tuo testo e a suggerire miglioramenti. Un comportamento quasi umano, direbbe qualcuno. O meglio: quello che ci aspetteremmo da un bravo editor che non vuole mettersi troppo in mostra. È il tipo di AI che non ti ruba il mestiere, ma ti dà una pacca sulla spalla e ti dice: “Forse qui puoi essere più incisivo”.

Nel mondo più noioso – ma cruciale – dei fogli di calcolo, Google porta avanti il progetto Gemini con una funzione chiamata “Help me analyze”. Al momento limitata, promette di diventare una sorta di consulente dati personale: analizzerà i tuoi spreadsheet, individuerà trend e ti proporrà interpretazioni con la gentilezza passiva-aggressiva tipica degli analisti finanziari junior. Una funzione del genere potrebbe cambiare le regole del gioco per chi si perde tra colonne e grafici, anche se, al momento, l’unica cosa certa è la sua data d’arrivo: “più avanti quest’anno”. In gergo Google, potrebbe significare anche mai.

Il quadro generale è chiaro: Google non vuole più solo aiutarti a scrivere, vuole essere parte attiva del processo. Vuole parlare con te, di te, su ciò che hai scritto. Vuole essere editor, analista, speaker e – probabilmente nel prossimo update – anche tuo terapeuta. Il rischio evidente è quello di un eccesso di automazione che finisce per trasformare ogni documento in un esercizio di autoanalisi vocale con assistenti digitali che sembrano usciti da un brutto episodio di Black Mirror.

Ma dietro al gimmick della voce sintetica che commenta le tue slide, c’è una tendenza ben più seria. L’AI sta diventando il filtro obbligatorio tra noi e i nostri strumenti di lavoro. Stiamo progressivamente delegando alle macchine non solo l’operatività, ma anche la riflessione e il giudizio. E mentre Google ci promette più produttività, è lecito chiedersi: a che prezzo? Forse il vero aggiornamento non è nel software, ma nella nostra tolleranza all’assurdo.