Quando Donald Trump minaccia dazi del 54% sui prodotti cinesi, a Wall Street il panico si trasforma in prassi. Ma mentre gli investitori abbandonano Apple come se avesse appena annunciato il ritorno del Newton MessagePad, i consumatori americani stanno correndo nei negozi come se fosse il Black Friday fuori stagione. Il motivo? La paura che l’iPhone diventi un oggetto di lusso stile Rolex.
Apple, che da sempre danza sull’orlo di una catastrofe geopolitica pur mantenendo i profitti a doppia cifra, si è trovata di colpo al centro di una corsa all’oro hi-tech: gente che affolla gli Apple Store chiedendo con ansia se “i prezzi aumenteranno domani”. I dipendenti, lasciati senza linee guida ufficiali dall’azienda, sono diventati improvvisamente i nuovi oracoli di Cupertino, costretti a improvvisare risposte mentre l’adrenalina scorre come un aggiornamento iOS mal riuscito.
E la cosa assurda è che funziona. Perché mentre il titolo Apple crolla in borsa, bruciando mezzo trilione di dollari in due giorni (perché si sa, l’economia globale si regge sull’umore degli hedge fund manager), le vendite al dettaglio negli Stati Uniti stanno salendo più in fretta dei livelli di cortisolo nei boardroom di Cupertino.
L’assurdità è che tutto questo non è né nuovo né inaspettato. La dipendenza di Apple dalla Cina per la produzione – un matrimonio di comodo più che d’amore – era nota da anni. Ma finché la festa reggeva, chi aveva voglia di trasferire la supply chain altrove? Ora, con la guerra dei dazi in pieno stile Trump, Tim Cook si ritrova a cercare scappatoie: più iPhone made in India (che gode di tassazione più leggera), più produzione in Vietnam (dove già assemblano Watch, AirPods e iPad), e una dispersione globale degna di un cartello della logistica.
Il problema è che spostare fabbriche non è come migrare un sito da AWS a Azure. Richiede tempo, contratti, compromessi. E mentre tutto questo accade, Apple ha fatto l’unica cosa razionale: riempire i magazzini di prodotti pre-dazio, vendendoli ora a prezzo pieno, prima che la mannaia doganale si abbatta. Un classico esempio di capitalismo preventivo.
E nonostante tutto, i consumatori ci cascano. Una turista argentina, intervistata in uno store di New York, ha detto di aver comprato l’iPhone 15 per la sorella solo per “paura del futuro”. Il paradosso è che probabilmente i prezzi non saliranno mai quanto paventato, perché Apple, pur di mantenere la soglia psicologica dei 999 dollari, taglierà margini, farà pressioni sui fornitori e ridurrà i costi interni. Ma il solo spettro del rincaro ha già innescato l’effetto Black Friday.
Il mercato, nel frattempo, ha reagito con la maturità di un adolescente davanti a un down di Instagram. La capitalizzazione Apple ha perso oltre 500 miliardi in 48 ore, il peggiore crollo dai tempi della bolla dot-com. Non male per un’azienda che, al netto della tempesta, continua a vendere un dispositivo da 1.000 dollari che la gente crede di dover comprare subito, altrimenti chissà.
Insomma, l’ennesima prova che Apple non vende solo tecnologia. Vende ansia. E l’ansia, al momento, è bullish. Ma per fortuna Trump pensa che Iphone può essere fatta in US..Risolto