La notizia arriva con il sapore di un ultimatum mascherato da “urgency”: Oracle si trova nel bel mezzo di un’operazione ad alta tensione finanziaria e strategica, costretta a correre contro il tempo per completare un mega data center ad Abilene, in Texas, 1,2 gigawatt – 2 entro la metà del 2026 . L’obiettivo è uno solo: non far saltare il contratto milionario con OpenAI. Ma quando una big tech, storicamente vista come pachidermica nei suoi tempi d’esecuzione, si trova sotto pressione operativa, le crepe iniziano a vedersi prima nei bilanci che nel cemento armato.

L’immagine è cinematografica, quasi distopica: nel cuore del Texas, ad Abilene, un colosso di acciaio e cemento delle dimensioni di 17 campi da football giace vuoto, incompleto, come un’astronave abbandonata nel deserto. Questo è il data center che Oracle sta disperatamente cercando di completare per soddisfare le esigenze fameliche di OpenAI. Ma per ora, più che essere un simbolo di potenza computazionale è un cantiere aperto, 2 edifici completati e 6 ancora pianificati. JP Morgan Chase ha fornito un mutuo di 2,3 miliardi di dollari su una stima di costo Oracle e Crusoe di 10.

Il paradosso è drammatico. Da un lato c’è OpenAI, una delle entità più avanzate e voraci in termini di potenza di calcolo del pianeta, con modelli linguistici e reti neurali sempre più affamati di GPU e server ad alte prestazioni. Dall’altro, c’è Oracle, gigante storico della tecnologia, che cerca di reinventarsi nel ruolo di fornitore d’infrastruttura per l’intelligenza artificiale. Il punto d’incontro dove questo sodalizio dovrebbe consumarsi è un cantiere nel mezzo del nulla texano. Solo che, al momento, procede con lentezza.

Dal punto di vista finanziario e strategico, questa situazione è devastante. Il data center non è solo un impianto fisico: è il pegno con cui Oracle ha promesso a OpenAI non solo spazio, ma velocità, flessibilità, scalabilità. Ogni giorno che passa con quella struttura noin completata è un giorno in cui OpenAI potrebbe guardare altrove, e ogni giorno che Oracle non riesce a riempire quel guscio con tecnologia funzionante è un giorno in cui il titolo rischia di perdere sul mercato anche se oggi gode ancora la fiducia degli analisti.

Il ritardo ha implicazioni gravi. I data center sono oggi gli asset più sensibili dell’economia digitale. Non sono magazzini, sono centrali nucleari della nuova energia: quella computazionale. Se Oracle non riesce a far girare abbastanza GPU lì dentro, in tempo utile, perde la sua unica vera carta per restare rilevante nell’era AI. Il deal con OpenAI, infatti, è la vetrina perfetta per dimostrare che Oracle non è solo database e sistemi legacy, ma può essere la spina dorsale fisica della nuova economia cognitiva.

Ma la verità è che costruire data center di queste dimensioni, a questa velocità, non era nel DNA di Oracle. Microsoft e AWS, ormai, hanno perfezionato l’arte della moltiplicazione dei data center come catene di montaggio. Oracle ci arriva più tardi, con meno agilità, e con un carico di debolezze logistiche non trascurabile. A questo si aggiunge il classico problema da manuale di project management: grande progetto, grande rischio d’incompiutezza, soprattutto quando si opera in luoghi remoti dove le supply chain diventano un inferno.

OpenAI, dal canto suo, non può permettersi ritardi. Sta operando in una fase di espansione vertiginosa, con ChatGPT che scala utenti, modelli in training che mangiano milioni di dollari in potenza computazionale al giorno, e nuovi use case che richiedono latenza minima e uptime totale. Un guscio vuoto in Texas non è compatibile con questo ritmo.

E non serve un’analisi profonda per capire il messaggio implicito: o Oracle consegna in tempi record, o quel contratto evapora. Con buona pace dei rendering e delle dichiarazioni trionfanti nelle earning call. Perché il mercato oggi non paga le promesse, paga la capacità di delivery.

Se Oracle non trasforma in fretta quel vuoto in potenza computazionale reale, il sogno di diventare la piattaforma preferita dell’intelligenza artificiale resterà un rendering in 3D. Ma c’è la farà e speriamo di essere invitati al Party.