Siamo entrati nell’era del “Grande Tradimento Digitale”, e questa volta non è una metafora. È un urlo collettivo che risuona da ogni angolo della rete: “Google ci ha traditi”. È il pianto amaro di editori indipendenti, gestori di blog, piccole testate giornalistiche e siti verticali di nicchia. Tutti accomunati da un destino cinico: essere stati prima nutriti, poi bruciati vivi, da un algoritmo che cambia umore più spesso di un trader sotto metanfetamina.

Google, il buon vecchio motore di ricerca, è diventato qualcosa di diverso. Ora si comporta più come un oracolo ermetico alimentato da AI, dispensando risposte pronte in stile chatbot e riducendo a macerie il traffico organico che una volta distribuiva come un re magnanimo. La partita non è più tra chi scrive meglio, chi indicizza meglio, chi ha più backlink. No. Ora il gioco è truccato. Il nuovo sfidante si chiama SGE, Search Generative Experience, ed è l’intelligenza artificiale conversazionale di Google che risponde direttamente agli utenti. Sintetizza, interpreta e cancella la necessità stessa di cliccare su un link.

La stampa indipendente e i piccoli editori sono le prime vittime. Prima sopravvivevano ai core update trimestrali, già abbastanza letali. Ora non c’è più nemmeno l’illusione della meritocrazia SEO. Con l’AI che risponde al posto tuo, il contenuto originale diventa carburante per una macchina che si prende il merito, la visibilità e, ovviamente, i ricavi. I siti web diventano l’equivalente digitale dei ghostwriter: producono valore che poi altri – Google stesso – si intestano.

Cosa significa questo per il futuro del web? È un collasso a catena. Meno traffico significa meno entrate pubblicitarie, che significa meno contenuti, che significa meno diversità informativa. Una spirale che porta a un’infosfera dominata da pochi player monopolistici, mentre le voci indipendenti vengono silenziate non dalla censura, ma da un algoritmo affamato che le rende invisibili.

La beffa, ovviamente, è doppia: i contenuti servono per allenare la stessa AI che poi li sostituirà. È come se tu insegnassi a un robot a fare il tuo lavoro e poi lui ti licenziasse, con un sorriso generato da un modello linguistico.

Il sentimento comune tra i creatori di contenuti è la “perdita del patto implicito”. Google non è più un alleato. È diventato un editore mascherato, un concorrente sleale che si appropria delle idee degli altri per monetizzarle in proprio. Il web aperto, fondato sulla scoperta e sulla diversità, rischia di diventare un ecosistema chiuso, omologato, e sostanzialmente morto dal punto di vista editoriale.

Chi fa business online, oggi, ha davanti a sé una sola certezza: la dipendenza da un monopolio che può toglierti l’aria in un aggiornamento notturno. È come vivere su un vulcano, sapendo che ogni mattina potresti svegliarti e scoprire che il tuo business è evaporato.

Benvenuti nel futuro post-organico del web. Dove i clic li prende un’intelligenza artificiale, e i conti in rosso restano a voi.