Nel mezzo di un’apocalisse finanziaria globale e del collasso improvviso di bitcoin, Hong Kong apre le porte al Web3 Festival con l’entusiasmo imperturbabile di chi finge che il Titanic non stia affondando. Il sipario si alza su questo spettacolo di blockchain e sorrisi forzati con il bitcoin che annaspa intorno ai 77.000 dollari, giù del 30% rispetto ai picchi di gennaio, mentre il mercato azionario cinese si prende la peggior bastonata degli ultimi 27 anni. Una scena da fine impero, ma con badge NFT.
Dietro le quinte, si agita il caos geopolitico: i nuovi dazi americani imposti dall’amministrazione Trump hanno destabilizzato mercati già tremanti, generando un effetto domino che ha travolto criptovalute, azioni e persino le certezze di chi pensava che il 2025 sarebbe stato l’anno dell’oro digitale. Spoiler: l’oro vero vola sopra i 3.000 dollari l’oncia, mentre il bitcoin balla ancora a ritmo Nasdaq. Ma non ditelo a chi lo definisce “oro digitale”.

A Hong Kong, invece, si recita un altro copione. Paul Chan Mo-po, Segretario Finanziario della città, apre il festival proclamando con toni da evangelista che “Hong Kong è pro-Web3”. La sua è una visione in technicolor dove la regolamentazione è flessibile, l’innovazione è sacra, e i rischi sono parte del gioco. L’illusione di un’oasi di stabilità in un deserto di volatilità.
Il messaggio è chiaro: mentre l’Occidente annaspa tra regolamenti, investigazioni e tariffe punitive, Hong Kong vuole attrarre i progetti Web3 come una calamita dorata nel mezzo di una crisi. Christina Choi della Securities and Futures Commission ha persino lanciato l’invito ufficiale: “Portate i vostri progetti Web3 qui”. Un’offerta seducente, se non fosse per il fatto che anche qui le star del settore brillano a intermittenza.
La lineup di quest’anno ha perso parte del suo smalto. Zhao Changpeng, alias CZ, ancora fresco di condanna per riciclaggio negli Stati Uniti, ha preferito inviare il suo alter ego Binance, He Yi, in collegamento video. Justin Sun, altro habitué delle zone grigie della finanza decentralizzata, ha fatto capolino accanto a Vitalik Buterin, eterno ragazzo prodigio di Ethereum, che ormai appare come il Banksy della blockchain: lo vedi solo se ti giri al momento giusto.
Intanto, dagli USA arrivano segnali contrastanti. David Zell, co-presidente del Bitcoin Policy Institute, esalta l’ordine esecutivo di Trump che istituisce una riserva strategica di bitcoin, trattandolo come se fosse Fort Knox versione digitale. Ma intanto il mercato non se ne accorge e continua a trattare la criptovaluta più famosa del mondo come un tech stock ipervitaminizzato, prono agli sbalzi d’umore di Wall Street.
Kevin Goldstein prova a salvare la narrativa con un parallelo azzardato: i dazi come le strette monetarie di Volcker negli anni ’80. Peccato che all’epoca il dollaro era ancora sinonimo di stabilità e non di scommessa su un asset a 140 caratteri dal tracollo. Ma la fede, si sa, è cieca. E il cripto-evangelismo, pure.
He Yi chiude il festival con parole che suonano più come un’invocazione che una previsione: “Credo che gli imprenditori cinesi possano ancora trovare spazio per innovare”. In altre parole, lo spirito resta, anche se il terreno traballa. Nel mondo Web3, dove tutto è liquido – dai token alla verità – basta un po’ di retorica per galleggiare.
Hong Kong gioca il suo asso nella manica puntando su una regolamentazione smart e un ecosistema accogliente per il capitale in fuga. Ma tra dichiarazioni ispirate e assenze eccellenti, il Web3 Festival del 2025 somiglia più a un esercizio di PR che a una reale inversione di tendenza. E nel frattempo, bitcoin continua a ballare sul bordo del precipizio, in attesa che qualcuno decida se sarà davvero il nuovo oro… o solo un altro sogno venduto troppo caro.