Zhu Songchun, Chair Professor, Peking University & Tsinghua University. Founding Director, Beijing Institute for General Artifical Intelligence (BIGAI) Dean, Institute for Artifical Intelligence & School of Intelligence Science and Technology, Peking University, uno dei massimi esperti cinesi di intelligenza artificiale, ha lanciato un monito chiaro:
la Cina rischia di perdersi in un vortice di investimenti caotici nell’IA, inseguendo modelli occidentali senza una solida base teorica e filosofica.
Durante il Zhongguancun Forum di Pechino, Zhu ha criticato la mancanza di comprensione profonda della tecnologia da parte di governi, media e opinione pubblica, sottolineando come questa lacuna renda difficile una pianificazione strategica efficace.

Negli ultimi anni, Pechino ha investito massicciamente nell’intelligenza artificiale, cercando di costruire un ecosistema tecnologico in grado di competere con i giganti americani. Il lancio di chatbot come DeepSeek, capace di rivaleggiare con ChatGPT, ha dimostrato la rapidità con cui la Cina sta colmando il gap tecnologico. Tuttavia, secondo Zhu, il vero progresso non può limitarsi agli strati superficiali dell’innovazione, come algoritmi e modelli, ma deve scavare più in profondità, nelle fondamenta teoriche e filosofiche dell’IA.
Zhu ha proposto una visione dell’intelligenza artificiale strutturata come un iceberg: ciò che è visibile – i livelli di esecuzione, algoritmo e modello – rappresenta l’innovazione immediata e comprensibile, ma la vera essenza dell’IA si nasconde sotto la superficie, nei livelli teorico e filosofico. Se la Cina vuole superare l’Occidente, deve investire nella comprensione delle basi matematiche, logiche e cognitive dell’IA, invece di limitarsi a rincorrere la potenza computazionale e la gestione dei dati su larga scala.
Uno degli aspetti più critici sollevati da Zhu riguarda lo sviluppo dell’intelligenza artificiale generale (AGI), cioè macchine con capacità cognitive comparabili a quelle umane. A suo avviso, il modello tradizionale di Silicon Valley, basato su big data, potenza di calcolo e modelli sempre più grandi, è una visione miope. Il vero salto qualitativo nell’IA non sarà quantitativo, ma concettuale: bisogna spostare il focus dalla mera elaborazione dati alla costruzione di un sistema cognitivo basato sulla causalità e sui valori, un’intelligenza artificiale capace di “avere un cuore”.
Questa posizione mette in discussione il dogma attuale dello sviluppo dell’IA: mentre negli USA si persegue la scalabilità senza interrogarsi troppo sulla natura della cognizione artificiale, Zhu propone un approccio più organico, che integra concetti di modellazione cognitiva e teorie dell’intelligenza. Secondo lui, le attuali conquiste di DeepSeek nell’ottimizzazione computazionale sono impressionanti, ma non affrontano il problema più profondo: cosa significa veramente “intelligenza”?
Per la Cina, il futuro dell’IA non può essere una semplice replica del percorso americano. Se vuole ottenere una vera supremazia tecnologica, deve riscrivere le regole del gioco, trasformando l’IA in uno strumento che non si limiti a generare testi e immagini, ma che possa modellare la realtà stessa, portando economia e politica nel dominio della scienza verificabile. L’obiettivo? Un’IA industrializzata e commercializzata, profondamente integrata con il settore produttivo, e la creazione di vere e proprie “fabbriche di AGI”.
La sfida è titanica: la Cina riuscirà a creare un nuovo paradigma per l’intelligenza artificiale o finirà per inseguire l’America in una corsa senza fine verso una potenza computazionale sempre più grande ma sempre più vuota di significato?