Sappiamo quanto siano fondamentali i dati per l’intelligenza artificiale. L’AI si nutre di dati che, per un certo verso, sono il carburante stesso degli LLM. Ma chi possiede i diritti su questi contenuti? Mentre le aziende tecnologiche accelerano lo sviluppo di modelli avanzati, il dibattito legale sulla proprietà dei dati e il diritto d’autore diventa sempre più acceso. Due visioni contrapposte emergono con forza: da un lato, l’approccio europeo, basato sulla necessità di autorizzazioni esplicite; dall’altro, il modello americano, che si affida al concetto di “fair use” (a meno di epici stravolgimenti provenienti dalle tante cause in corso tra editori e big tech dell’AI). Questa divergenza normativa non è solo una questione di diritto, ma riflette differenti filosofie su innovazione, equità e controllo del mercato digitale.
L’approccio europeo: autorizzazioni e trasparenza
L’Unione Europea ha scelto una strada rigorosa per tutelare i diritti d’autore e garantire trasparenza. Normative come il Digital Services Act (DSA) e l’EU AI Act (entrato in vigore nell’agosto 2024) impongono obblighi stringenti alle aziende che utilizzano contenuti protetti per addestrare modelli di intelligenza artificiale.
- Principio: le imprese devono ottenere il consenso esplicito dai titolari dei diritti per poter utilizzare libri, articoli e altri materiali protetti nel training delle loro AI. È inoltre previsto un sistema di “opt-out” che consente agli autori di vietare l’uso delle loro opere;
- Implicazioni: questo approccio richiede alle aziende di negoziare licenze con editori e autori, un processo che può risultare costoso e complesso, specialmente per dataset di grandi dimensioni. La causa intentata in Francia contro Meta (vedi Meta sotto accusa: editori e autori francesi fanno causa per violazione del copyright) segue proprio questa logica, contestando l’uso di dati senza autorizzazione;
- Obiettivo: proteggere i creatori di contenuti e garantire un ecosistema digitale equo, sebbene a costo di rallentare l’innovazione e aumentare le spese per le aziende tecnologiche.
L’approccio americano: Fair Use e innovazione
Negli Stati Uniti, il diritto d’autore è interpretato in modo più flessibile grazie al concetto di “fair use“, sancito nell’articolo 107 del Copyright Act.
- Principio: il “fair use” consente l’uso di opere protette senza autorizzazione per scopi come ricerca, critica e trasformazione. Le aziende di AI, come OpenAI, Meta e Anthropic, sostengono che l’addestramento dei loro modelli rientri in questa categoria, in quanto i dati vengono rielaborati per generare un nuovo prodotto anziché riprodurre direttamente i contenuti originali;
- Implicazioni: questo modello favorisce lo sviluppo rapido della tecnologia, ma è criticato dagli editori che vedono minacciati i loro diritti economici. Cause come quella del New York Times contro OpenAI evidenziano il rischio che i modelli possano memorizzare e riprodurre frammenti di testi protetti;
- Obiettivo: privilegiare l’innovazione tecnologica, anche a scapito della tutela dei creatori di contenuti, portando a dispute legali e pressioni per una riforma delle normative sul copyright.
Un conflitto senza soluzione facile
La contrapposizione tra le due visioni genera conseguenze pratiche e politiche di ampia portata:
- Praticità vs. Legalità: l’Europa chiede un controllo che la tecnologia attuale non può garantire (es. la rimozione selettiva di testi dai dataset di addestramento), mentre il “fair use” americano ignora le autorizzazioni, creando un paradosso per le aziende che operano su entrambi i mercati;
- Divergenze di responsabilità: l’Ue sposta il peso della conformità sulle aziende, mentre negli Usa la questione viene demandata ai tribunali, con valutazioni caso per caso. Questo genera tensioni tra le due sponde dell’Atlantico, con l’Europa che accusa le big tech di “colonialismo digitale” e gli Usa che difendono la libertà di ricerca;
- Soluzioni incompatibili: l’Ue spinge per sistemi di licenza e trasparenza, ma la scala dei dati rende queste misure difficili da applicare. D’altro canto, il “fair use” non fornisce certezze sui diritti degli autori, alimentando il malcontento nel settore editoriale.
Verso un compromesso globale?
Un punto critico del dibattito è che la rimozione di dati dal training di un’AI è, nella pratica, quasi impossibile: il processo di addestramento è irreversibile e aggrega le informazioni in modo complesso. La soluzione potrebbe risiedere in accordi globali che bilancino trasparenza e innovazione, come:
- Licenze collettive su larga scala per l’uso di dati protetti;
- Nuovi standard di trasparenza per i dataset di addestramento;
- Tecnologie di synthetic data che consentano di addestrare le AI senza violare i diritti d’autore.
Nel frattempo, il dibattito resta aperto.
Cause come quella nei confronti di Meta per l’utilizzo di database di libri protetti da copyright (vedi Meta e l’ombra lunga dell’addestramento: i libri inediti nel mirino?), come quello che contrappone Universal Music ad Anthropic (vedi Giudice respinge la richiesta di bloccare Anthropic dall’utilizzare musica protetta da copyright per l’addestramento dell’IA, deregulation) o anche l’ormai storica causa di The New York Times contro OpenAI (vedi Il New York Times fa causa a Microsoft e ad OpenAI per violazione del copyright), segneranno il terreno di scontro, mentre il mondo della tecnologia e del diritto continua a cercare un equilibrio tra innovazione e tutela della proprietà intellettuale.