Il secondo atto della presidenza Trump sembra aver smantellato ogni pretesa di separazione tra tecnologia e politica. Quella che un tempo era una fredda distanza istituzionale tra la Silicon Valley e Washington si è trasformata in un vivace ballo di potere, dove CEO e politici danzano insieme sulle note di miliardi di dollari in lobbying. “Otto anni fa, non avresti mai visto Tim Cook o Elon Musk a Mar-a-Lago. Ora, li vedi in continuazione”, ha dichiarato Brian Ballard, lobbista di punta e uomo di fiducia dell’establishment repubblicano.
Il messaggio è chiaro: la tecnologia non è più solo un settore economico, ma un’arma geopolitica, un’infrastruttura di controllo sociale e una leva finanziaria per chi detiene il potere. Nel 2024, la spesa per lobbying federale ha raggiunto il record di 4,4 miliardi di dollari, con aziende, ONG e gruppi di interesse che hanno investito somme astronomiche per influenzare la politica. Al vertice della classifica, Meta Platforms, che ha speso oltre 24 milioni di dollari per proteggere il proprio impero mentre la politica si infiammava su privacy, libertà di espressione e sicurezza dei minori online.
La Silicon Valley non si limita più a sviluppare prodotti; ora scrive direttamente le regole del gioco. E con Trump di nuovo alla Casa Bianca, il gioco è diventato ancora più spregiudicato. L’industria tecnologica, che nel 2016 era più incline a finanziare candidati progressisti e a evitare legami con l’ex presidente, oggi ha smesso di fingere neutralità. La deregolamentazione promessa da Trump e la sua visione di un’America “forte e sovrana” hanno trasformato la tech élite da critici silenziosi a partecipanti attivi nel nuovo ordine politico.
La questione non è più se le big tech influenzano la politica, ma quanto profondamente abbiano già colonizzato l’apparato statale. Il Congresso e le agenzie federali si trovano costantemente sotto pressione per modellare leggi e regolamenti a favore dei giganti del settore. Non è un caso che proprio ora si assista a un’accelerazione su temi come la regolamentazione dell’AI, il controllo sui social media e la cybersicurezza: tutti ambiti in cui i giganti tecnologici vogliono avere l’ultima parola.
Questa convergenza tra potere politico e tecnologico non è priva di conseguenze. Da una parte, Washington ottiene accesso senza precedenti ai dati e alle infrastrutture delle tech company, dall’altra, le aziende ottengono protezione e influenza legislativa, consolidando il loro monopolio. La libertà di parola, la privacy e persino la concorrenza sul mercato diventano variabili negoziabili in cambio di favori politici.
Il futuro sembra già scritto: nel 2025, le spese per il lobbying continueranno a salire mentre le leggi verranno riscritte per adattarsi agli interessi di chi può permettersi di pagarle. Silicon Valley e Washington non sono più due mondi separati, ma due facce della stessa medaglia: il potere. E in questo gioco, il cittadino medio è solo uno spettatore, senza voce, senza voto, e senza possibilità di cambiare il finale.

L’era Trump 2.0: come la Silicon Valley ha smesso di combattere e ha iniziato a comprare il potere
Negli ultimi dieci anni, il rapporto tra la tecnologia e la politica americana è passato da una cauta diffidenza a un’integrazione quasi simbiotica. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca nel 2025 non ha fatto altro che accelerare un processo già in corso: le big tech, dopo anni di tensioni con i governi occidentali, hanno capito che la via della sopravvivenza non passa più dalla competizione di mercato, ma dal controllo delle regole del gioco.
2016-2020: L’ostilità e le prime battaglie
Durante il primo mandato di Trump, il rapporto tra la Casa Bianca e le big tech era segnato da un misto di ostilità e necessità reciproca. La Silicon Valley, notoriamente incline a sostenere i Democratici, vedeva in Trump una minaccia, soprattutto per le sue politiche protezionistiche e il suo disprezzo per la globalizzazione, da cui le tech company traevano enormi benefici.
Facebook fu travolta dallo scandalo Cambridge Analytica nel 2018, con accuse di aver favorito indirettamente l’elezione di Trump nel 2016 attraverso la manipolazione dei dati degli utenti. Google e Amazon affrontarono indagini antitrust su entrambi i lati dell’Atlantico, mentre Twitter iniziava a moderare attivamente i post del presidente, culminando nel ban definitivo dopo l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021.
Nel frattempo, però, le aziende tecnologiche capirono che demonizzare Trump non serviva: serviva piuttosto una strategia di influenza più diretta. Nel 2020, la spesa per lobbying del settore tech raggiunse 523 milioni di dollari, con Meta, Amazon e Google tra i principali investitori.
2021-2024: L’era Biden e il falso senso di sicurezza
Con la vittoria di Joe Biden, la Silicon Valley pensò di poter respirare. L’approccio dell’amministrazione democratica sembrava più prevedibile, con una retorica orientata alla regolamentazione, ma con politiche spesso inefficaci. L’ordine esecutivo di Biden del 2021 sulla concorrenza cercava di limitare i monopoli tecnologici, mentre l’FTC, guidata da Lina Khan, tentava di bloccare fusioni e acquisizioni.
Tuttavia, nonostante il linguaggio aggressivo, le grandi aziende tecnologiche continuarono ad espandere il loro potere:
- Meta cercò di ridisegnare il concetto di social network con il metaverso, mentre Facebook diventava sempre più una macchina pubblicitaria con entrate da 117 miliardi di dollari nel 2023.
- Elon Musk acquistò Twitter nel 2022, rinominandolo X, con l’idea di creare una “super app” sul modello di WeChat, ma finì per diventare un epicentro di polemiche e politiche aziendali erratiche.
- Apple e Google consolidarono il loro duopolio sugli ecosistemi digitali, mantenendo il controllo assoluto sui rispettivi app store e servizi cloud.
Ma nel 2024, l’imprevisto si materializzò: Trump vinse nuovamente le elezioni.
2025: Il grande riallineamento
L’industria tecnologica capì subito che, per sopravvivere, non bastava più fare lobbying tradizionale: bisognava abbracciare il nuovo ordine politico. I CEO delle più grandi aziende tech, da Tim Cook a Mark Zuckerberg, iniziarono a comparire sempre più spesso a Mar-a-Lago, il resort di Trump in Florida, un tempo considerato un tabù per l’élite progressista della Silicon Valley.
I numeri parlano chiaro: nel solo 2024, il settore ha speso 4,4 miliardi di dollari in lobbying, una cifra senza precedenti. Meta, principale finanziatore, ha sborsato oltre 24 milioni di dollari per cercare di influenzare le politiche su privacy, libertà di parola e regolamentazione dei contenuti online.
L’atteggiamento della Casa Bianca verso le big tech è cambiato radicalmente rispetto al primo mandato di Trump. Se nel 2017 il tycoon parlava di smantellare il potere delle piattaforme digitali, nel 2025 ha capito che è più conveniente controllarle piuttosto che combatterle. La sua amministrazione ha iniziato a smorzare le critiche e a negoziare direttamente con i giganti del settore:
- Elon Musk è diventato un alleato strategico, fornendo a Washington infrastrutture per la sicurezza nazionale attraverso Starlink e contratti con il Pentagono.
- Meta ha stretto accordi per evitare regolamentazioni più stringenti sui contenuti online, in cambio di un approccio più neutrale verso le politiche di disinformazione.
- Google e Apple hanno mantenuto il loro monopolio sui sistemi operativi mobili senza interventi antitrust aggressivi, mentre il governo si concentrava più sulle aziende cinesi come TikTok.
Il nuovo equilibrio di potere
Nel 2025, il messaggio è chiaro: la Silicon Valley non è più solo un’industria tecnologica, ma un attore politico a tutti gli effetti. Il Congresso, la Casa Bianca e le agenzie federali sono ormai completamente immersi in una rete di influenza e finanziamenti provenienti dal settore.
La deregolamentazione promessa da Trump si traduce in un ecosistema dove le big tech hanno meno vincoli e più libertà di operare, mentre il governo utilizza i loro strumenti per consolidare il controllo sulle informazioni e l’economia digitale.
Chi ci guadagna? CEO, investitori e politici.
Chi ci perde? I cittadini, che vedono diminuire la loro privacy, libertà di scelta e controllo sulle informazioni che consumano.
Non è più una questione di “tech contro politica”. Il 2025 segna l’inizio di una nuova era, dove tecnologia e potere politico sono una cosa sola. E chiunque voglia giocare deve essere pronto a pagare il prezzo richiesto da questo nuovo cartello del controllo globale.
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