Oggi 27 marzo, alle ore 8.45, presso l’Aula Magna del Dipartimento di Ingegneria informatica, automatica e gestionale dell’Università la Sapienza di Roma, la vicepresidente della Camera, Anna Ascani, è intervenura alla lezione “Intelligenza artificiale e Parlamento” , accolta dal Dipartimento di Ingegneria informatica, automatica e gestionale “Antonio Ruberti” e dal Direttore e il Prof. Navigli dove è anche direttore del gruppo di ricerca Sapienza NLP (Minerva LLM).
L’Italia e l’Europa hanno nel capitale umano un punto di forza che dobbiamo potenziare e promuovere. Investiamo sulla formazione per fronteggiare la sfida epocale che l’IA rappresenta da protagonisti.
On. Ascani
L’intelligenza artificiale è ormai una rivoluzione che sta trasformando gli equilibri economici e tecnologici globali. Il lancio di DeepSeek, il modello cinese alternativo ai colossi dell’IA, mostra che il monopolio occidentale può essere sfidato con investimenti strategici. Questo dimostra che il dominio di pochi attori non è inevitabile, ma modificabile con scelte mirate.
La domanda chiave è: e l’Europa?
Mentre Stati Uniti e Cina avanzano con modelli sempre più sofisticati, l’Europa resta bloccata in un dibattito su regolamentazione, etica e limiti dell’IA. Un approccio comprensibile ma rischioso. Concentrarsi solo sul regolare tecnologie esterne rischia di ampliare il divario con le potenze tecnologiche. Perdendo il controllo sugli strumenti strategici, discussioni su democrazia, privacy e diritti saranno vane: altri imporranno le regole.
L’IA non è solo un’opportunità economica, ma anche un’arma geopolitica. L’autonomia tecnologica è fondamentale per evitare di diventare una colonia digitale. Servono investimenti rilevanti e un cambio di mentalità: considerare l’IA un’opportunità, non solo un rischio. Se la Cina ha creato un’alternativa valida a OpenAI, perché l’Europa non potrebbe fare lo stesso?
Recuperare terreno richiede scelte rapide: poli di innovazione, collaborazione pubblico-privato, incentivi fiscali e una strategia che vada oltre la regolamentazione, creando infrastrutture e modelli di IA europei competitivi.
Altrimenti il futuro dell’Europa sarà scritto da altri, con algoritmi che neppure comprendiamo e decisioni prese a migliaia di chilometri di distanza.
L’intelligenza artificiale sta entrando nella politica italiana con promesse di efficienza e innovazione. I parlamentari, grazie a strumenti di analisi avanzata, potrebbero gestire le normative con più agilità, mentre i cittadini avranno informazioni istituzionali più accessibili. Ma è vero progresso o solo un’illusione ben mascherata?
Dopo un anno di studi e audizioni, la Camera dei Deputati ha selezionato tre progetti pilota per integrare l’IA generativa nei processi parlamentari. Il primo, Legislab, sviluppato dal Politecnico di Milano e dall’Istituto Einaudi, mira a supportare gli uffici della Camera nell’analisi legislativa. Il secondo, GenAI4Lex, creato da un consorzio di università italiane, aiuterà i parlamentari nella stesura e valutazione dei testi normativi. Infine, DepuChat, frutto della collaborazione tra Università Roma 3 e Università di Firenze, si propone di facilitare l’accesso ai dati istituzionali per i cittadini tramite un chatbot interattivo.
L’obiettivo dichiarato è chiaro: snellire il lavoro legislativo, migliorare la trasparenza e rendere il processo decisionale più efficace. Tuttavia, dietro questa narrazione entusiastica emergono una serie di criticità difficili da ignorare.
Innanzitutto, c’è il nodo della sicurezza. La gestione di enormi quantità di dati sensibili, se non adeguatamente protetta, potrebbe trasformarsi in un boomerang per le istituzioni. Il Parlamento assicura di voler rispettare i principi dell’AI Act europeo, ma la realtà è che la maggior parte delle tecnologie avanzate sono sviluppate da aziende extraeuropee, come Meta, Google e OpenAI, con implicazioni geopolitiche e di sovranità digitale ancora poco considerate.
Un altro punto critico riguarda l’affidabilità delle informazioni. Gli algoritmi di IA generativa sono noti per produrre “allucinazioni”, ossia risultati inesatti o fuorvianti. Se un deputato basasse un’intera iniziativa legislativa su dati generati erroneamente, le conseguenze potrebbero essere disastrose. Per questo, mentre i progetti Legislab e GenAI4Lex sono già in fase prototipale, DepuChat è ancora un’idea embrionale, proprio per il rischio elevato di errori nella sua implementazione.
Non meno rilevante è la questione della competenza. La gestione di strumenti così avanzati richiede personale altamente qualificato. La Camera ha avviato concorsi per giovani ingegneri e lanciato una call per sviluppatori, ma resta il dubbio su come verrà formato il personale già in servizio e su quanto sia realistica l’integrazione di queste tecnologie in un contesto spesso caratterizzato da resistenza al cambiamento e da lungaggini burocratiche.
Oltre all’aspetto tecnico, c’è quello politico. Il Parlamento italiano si autodefinisce pioniere in Europa nell’adozione dell’IA legislativa, ma senza un’adeguata governance tecnologica il rischio è di trovarsi con strumenti avanzati che finiscono per essere usati male o, peggio, strumentalizzati. In un momento storico in cui le opinioni politiche sono già fortemente influenzate da algoritmi e bolle informative, affidarsi a sistemi automatizzati per la redazione di norme potrebbe amplificare bias e distorsioni.
Un’ulteriore questione riguarda l’attuazione concreta. Il governo italiano, secondo la vicepresidente della Camera Anna Ascani, sembra avere idee poco chiare sull’AI Act e sulle competenze necessarie per la sua applicazione. Mentre in Europa si insiste sulla necessità di un organo di controllo indipendente, in Italia si discute se affidare la gestione dell’IA a strutture governative come l’AgID, con il rischio di conflitti di interesse e di un controllo politico delle tecnologie emergenti.
Nel frattempo, le grandi potenze si muovono con maggiore pragmatismo. Gli Stati Uniti, con il Congresso e il settore privato in sinergia, sono già avanti nella sperimentazione, mentre la Cina accelera sullo sviluppo di soluzioni di sorveglianza basate sull’IA, ponendo questioni etiche e geopolitiche di enorme portata. L’Europa, come al solito, è in mezzo, divisa tra ambizioni regolatorie e la necessità di colmare il gap tecnologico con le altre potenze.
La strada verso un Parlamento digitalizzato è quindi piena di ostacoli, alcuni tecnologici, altri politici, molti semplicemente culturali. Se da un lato l’intelligenza artificiale può effettivamente migliorare l’efficienza delle istituzioni, dall’altro il rischio di affidarsi ciecamente a strumenti non ancora del tutto affidabili potrebbe trasformare questa rivoluzione in un boomerang. Alla fine, la vera domanda è: il Parlamento sarà davvero più efficiente con l’IA o sarà solo un’altra promessa tecnologica destinata a perdersi nei meandri della burocrazia italiana? Pensiamo e speriamo di NO.