Microsoft ha deciso di abbandonare progetti di data center per un totale di 2 gigawatt negli Stati Uniti e in Europa negli ultimi sei mesi. Secondo gli analisti di TD Cowen, la scelta è dovuta a un eccesso di capacità rispetto alla domanda prevista. Ma il dettaglio più significativo è che la decisione è legata al mancato supporto a OpenAI per l’addestramento di nuovi modelli di intelligenza artificiale.
La prima domanda è se questo stop sia una mossa prudente di Microsoft o il segnale di un problema più grande. La seconda, inevitabile, è se la tensione tra Stati Uniti e Cina abbia un ruolo in questa frena.
Negli ultimi mesi, l’amministrazione Biden ha rafforzato i controlli sull’export di chip avanzati verso la Cina, bloccando forniture cruciali di Nvidia e AMD. In risposta, Pechino ha accelerato lo sviluppo di semiconduttori nazionali, cercando di ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti.
Microsoft e OpenAI sono strettamente dipendenti dalla capacità di calcolo fornita dalle GPU di Nvidia, che già scarseggiavano nel mercato occidentale. Con il rischio di una guerra tecnologica sempre più dura, la catena di approvvigionamento diventa un collo di bottiglia. Se Microsoft vede difficoltà nel reperire abbastanza hardware per giustificare nuovi data center, è logico ridurre gli investimenti
L’altra possibilità è che Microsoft stia semplicemente ricalibrando la propria strategia, evitando di esporsi troppo a un mercato ancora volatile. L’AI generativa è stata il trend dominante del 2023, ma i costi di addestramento sono enormi e i ritorni economici non ancora chiari.
OpenAI dipende finanziariamente da Microsoft, che le fornisce l’infrastruttura cloud per l’addestramento dei suoi modelli. Se Microsoft ha deciso di non supportare nuovi carichi di lavoro, significa che non vede un ritorno sufficiente per giustificare l’investimento. In altre parole, la crescita dell’AI potrebbe non essere così esponenziale come previsto.
Questa mossa di Microsoft potrebbe avere conseguenze su tutto il settore. Se uno dei principali investitori nell’AI sta rallentando, altri potrebbero seguirlo. I fornitori di hardware per data center, come Nvidia, AMD e Broadcom, potrebbero subire un rallentamento nella domanda.
D’altra parte, potrebbe trattarsi di una semplice pausa tattica. Microsoft potrebbe aver deciso di aspettare prima di scommettere ulteriormente su OpenAI, magari per valutare se investire in soluzioni più interne o diversificare le sue partnership.

Nel Frattempo…
Cina all’avanguardia nella fusione-fissione: il primo impianto ibrido potrebbe cambiare il gioco energetico globale
La Cina si prepara a costruire il primo impianto al mondo di fusione-fissione ibrida, un colosso energetico da 100 megawatt destinato a connettersi alla rete elettrica entro la fine del decennio. Con un investimento da 20 miliardi di yuan (circa 2,76 miliardi di dollari), il reattore Xinghuo – che significa “scintilla”, in omaggio a Mao Zedong – è già entrato nella sua prima fase con una gara d’appalto pubblica per la valutazione d’impatto ambientale. La struttura sorgerà sull’isola scientifica di Yaohu, nella zona hi-tech di Nanchang, Jiangxi, un’area strategica per le sue abbondanti risorse di rame, un metallo chiave per i materiali superconduttori.
Dietro il progetto c’è un’alleanza tra il colosso statale China Nuclear Industry 23 Construction Corporation e Lianovation Superconductor, spin-off di Lianovation Optoelectronics. Ma ciò che davvero rende Xinghuo un punto di svolta è la sua promessa di un valore Q superiore a 30, una cifra che mette in ombra il Q > 10 di ITER, il mastodontico progetto europeo sulla fusione nucleare in costruzione in Francia. Per dare un’idea della distanza tecnologica, nel 2022 il National Ignition Facility negli Stati Uniti aveva celebrato un Q di appena 1,5 come un successo storico.
La fusione nucleare è il Santo Graal dell’energia: imita il processo che alimenta il Sole, fondendo nuclei leggeri come l’idrogeno per sprigionare enormi quantità di energia. La fissione, invece, è la tecnologia che già oggi alimenta le centrali nucleari e funziona spaccando nuclei pesanti, come l’uranio. Il problema? La fusione pura è ancora un sogno, mentre la fissione genera scorie radioattive a lunga durata. Il reattore Xinghuo combina i due processi: usa i neutroni ad alta energia prodotti dalla fusione per innescare la fissione in materiali circostanti, aumentando la produzione energetica e riducendo le scorie nucleari a lungo termine.
Se la Cina riuscirà davvero a far funzionare un impianto da 100 megawatt nei tempi previsti – entro il 2030 – si troverà anni, se non decenni, avanti rispetto agli sforzi occidentali nella fusione-fissione o nella fusione pura. E non è un progetto isolato: Xinghuo potrebbe essere il trampolino di lancio per il China Fusion Engineering Test Reactor, un mastodontico reattore a fusione pura previsto per gli anni 2030 a Hefei, visto come la risposta cinese a ITER.
La corsa alla fusione non è solo una questione di primati tecnologici, ma una sfida geopolitica. Mentre in Occidente si continua a dibattere su finanziamenti e sicurezza, la Cina avanza spedita verso la realizzazione di un impianto che potrebbe riscrivere le regole del gioco energetico globale. E se davvero riuscisse a dimostrare che la fusione-fissione funziona su scala commerciale, il futuro del nucleare potrebbe parlare mandarino.