Le aziende esitano ancora a sborsare soldi per nuovi strumenti di intelligenza artificiale, ma quando si tratta di IPO, la musica cambia. Improvvisamente, ogni società che aspira a quotarsi in borsa non solo usa l’AI, ma la trasforma in un mantra. eToro, per esempio, ha dichiarato nella documentazione della sua IPO di utilizzare l’intelligenza artificiale per fornire approfondimenti personalizzati agli utenti e ottimizzare le loro strategie di trading. StubHub non ha voluto essere da meno e ha inserito nella sua IPO l’affermazione di sfruttare l’AI per analizzare il mercato e migliorare i servizi. Klarna? Anche lei ha sottolineato come la sua strategia di crescita sia ormai inseparabile dall’efficienza dell’AI.
Ma cosa sta realmente succedendo? È evidente che i dirigenti e i banchieri d’investimento hanno capito che oggi non si può quotare un’azienda senza declamare lodi all’intelligenza artificiale. Il problema? Spesso queste dichiarazioni sono più marketing che sostanza. Nessuno vuole apparire fuori dal giro, e l’AI è diventata il biglietto d’ingresso per essere presi sul serio dai mercati.
Questa corsa all’AI sta generando investimenti colossali in data center, ma il rischio di una bolla è concreto. Joe Tsai, presidente di Alibaba, ha dichiarato di essere “sbalordito” dagli investimenti che stanno piovendo nel settore. Si parla di centinaia di miliardi di dollari, con SoftBank e OpenAI che stanno spingendo fino a 500 miliardi nel progetto Stargate. BlackRock, Microsoft, MGX e xAI hanno lanciato una cordata da 100 miliardi. Meta vuole costruire un campus di data center AI per oltre 200 miliardi e sta cercando finanziamenti per 35 miliardi con Apollo. KKR ed Energy Capital Partners hanno avviato un’iniziativa AI da 50 miliardi. E tutto questo si aggiunge ai 300 miliardi che le big tech stanno spendendo quest’anno in spese di capitale, una fetta consistente delle quali destinata proprio ai data center AI.
Il punto critico è che questi investimenti si basano sulla speranza che le aziende comincino davvero a pagare per strumenti AI su larga scala. Ma se i clienti non vedranno un valore sufficiente, il mercato potrebbe collassare. Se la domanda reale non cresce abbastanza velocemente, molti di questi progetti finiranno per essere ridimensionati o cancellati. SoftBank potrebbe perdere una montagna di soldi (non sarebbe certo la prima volta), mentre altre società si ritroveranno con miliardi bloccati in infrastrutture sovradimensionate. E le IPO? Beh, le aziende troveranno un nuovo trend da vendere agli investitori.
Il caso Lyft: un hedge fund può cambiare il destino di un’azienda senza futuro?
Nel frattempo, nel mondo delle aziende già quotate, c’è chi cerca disperatamente di raddrizzare la rotta. Engine Capital Management, un hedge fund attivista, ha acquistato una quota in Lyft e ora vuole nominare direttori per il consiglio di amministrazione, convinto di poter migliorare la strategia e il prezzo delle azioni. Peccato che il problema di Lyft non sia solo il management, ma la sua posizione di mercato.
Lyft è sempre stata dietro Uber nel ride-hailing statunitense, senza alcuna presenza internazionale e senza un business parallelo di food delivery. Quando si è quotata nel 2019, il prezzo delle azioni era di 72 dollari. Oggi? Si muove tra i 10 e i 12 dollari, con una performance che definire deludente è un eufemismo. Il CEO David Risher, ex Amazon, ha trasformato Lyft in una macchina da soldi, ma il mercato non ha reagito.
Se ci fosse stato un acquirente per Lyft, l’affare sarebbe già stato fatto. Amazon potrebbe essere un’opzione, ma finora nessuno si è fatto avanti. E qui sta il punto: cosa può fare un hedge fund? Probabilmente niente di più che agitare un po’ le acque prima di rendersi conto che il problema è strutturale. In un mercato dominato da Uber, con margini sempre più compressi e un modello di business che ha già mostrato i suoi limiti, Lyft potrebbe essere semplicemente un caso perso.