Immagina un mondo in cui la realtà fisica e quella digitale si fondono senza soluzione di continuità. Un futuro in cui le riunioni aziendali sono popolate da ologrammi perfettamente interattivi, mentre le auto a guida autonoma sfrecciano per le città grazie a copie digitali della realtà in tempo reale. Questa non è fantascienza, ma la promessa del 6G, la sesta generazione delle telecomunicazioni mobili.
Mentre la maggior parte del mondo sta ancora cercando di sfruttare appieno il potenziale del 5G, la corsa al 6G è già iniziata, con un attore dominante: la Cina. Pechino ha ufficialmente stabilito tre standard tecnologici per il 6G sotto l’egida dell’International Telecommunication Union (ITU), mettendosi in una posizione di vantaggio rispetto ai rivali occidentali, che appaiono più cauti – o forse solo in ritardo.
Se il 5G ha rappresentato un balzo in avanti in termini di velocità e connettività, il 6G promette di essere qualcosa di completamente diverso: un ponte tra il mondo fisico e quello digitale. La sua ambizione non è solo quella di fornire connessioni più rapide e a bassa latenza, ma di diventare il cervello di un’infrastruttura globale in grado di alimentare città intelligenti, gemelli digitali, chirurgia a distanza e persino nuove forme di interazione umana basate su interfacce neurali.
La vera innovazione del 6G non sta solo nella maggiore capacità di banda, ma nella sua capacità di elaborare ed interpretare dati in tempo reale. Con reti neurali distribuite e capacità di edge computing avanzate, il 6G potrebbe rendere obsolete molte delle limitazioni attuali dell’IA, migliorando l’efficienza delle supply chain, della logistica e della gestione energetica.
A differenza del 5G, dove Stati Uniti ed Europa hanno cercato di frenare l’avanzata cinese (basti pensare alle sanzioni contro Huawei), la partita sul 6G sembra già indirizzata verso un dominio asiatico. Secondo un rapporto pubblicato su Scientia Sinica Informationis, mentre Cina, Giappone e Corea del Sud spingono forte sull’acceleratore, i paesi europei come Francia, Italia e Germania stanno adottando un approccio più conservativo.
Il motivo è chiaro: il 5G in Europa e negli USA è ancora in una fase di adozione incompleta, mentre in Asia ha già raggiunto una penetrazione capillare. Per i governi e le aziende occidentali, il 6G rischia di sembrare più una minaccia che un’opportunità, soprattutto se la leadership tecnologica sarà saldamente nelle mani di Pechino.
Le applicazioni del 6G spaziano dall’ovvio al distopico. Si parla di gemelli digitali in medicina per testare trattamenti personalizzati, di droni autonomi che mappano il territorio in tempo reale, di reti neurali globali che ottimizzano il traffico e i consumi energetici.
Ma c’è anche un’altra faccia della medaglia: con la Cina già avanti nello sviluppo delle infrastrutture di sorveglianza basate su IA e big data, il 6G potrebbe diventare lo strumento definitivo per il controllo sociale. Reti di riconoscimento facciale ultra-precise, monitoraggio in tempo reale del comportamento delle persone, censura digitale istantanea: non è difficile immaginare un mondo in cui la connettività diventa un’arma nelle mani dei governi.
6G: chi detta le regole?
A livello normativo, la partita del 6G si gioca sul campo della standardizzazione. L’ITU sta cercando di stabilire le linee guida per la sua implementazione globale entro il 2030, ma è evidente che i principali attori stanno lavorando su agende diverse.
Il Third Generation Partnership Project, che include membri da Cina, Giappone, USA, India, Corea del Sud ed Europa, avrà un ruolo chiave nella definizione degli standard. Tuttavia, con la Cina già avanti e pronta a imporre le proprie tecnologie, il rischio è che l’Occidente si trovi costretto ad adottare standard sviluppati altrove, perdendo così l’opportunità di influenzare la prossima generazione di telecomunicazioni.
Se il 5G ha cambiato il nostro modo di interagire con la tecnologia, il 6G cambierà il nostro rapporto con la realtà stessa. Il confine tra il fisico e il digitale diventerà sempre più sottile, con implicazioni che vanno ben oltre la semplice connettività.
Ma la vera domanda è: chi controllerà questa nuova infrastruttura? E chi avrà il potere di definire le regole del gioco? Per ora, la risposta sembra arrivare da Pechino.