Un professore neozelandese è stato invitato a presentare il suo lavoro a un evento statunitense sulla fisica nucleare nonostante contenesse un linguaggio incomprensibile in tutta la copia. Un articolo accademico privo di senso sulla fisica nucleare, scritto solo tramite il completamento automatico di iOS, è stato accettato per una conferenza scientifica. Christoph Bartneck, professore associato presso il laboratorio di tecnologia dell’interfaccia umana dell’Università di Canterbury in Nuova Zelanda, ha ricevuto un’e-mail che lo invitava a presentare un articolo alla conferenza internazionale di fisica atomica e nucleare che si terrà negli Stati Uniti a novembre. (The Guardian)
AI che “scrive un articolo” accettato per la pubblicazione non è affatto una novità; in realtà, se risaliamo indietro al 2016, possiamo trovare un esempio curioso: la funzione di “autocompletamento” di Apple iOS aveva visto accettato un suo articolo per la pubblicazione alla “International Conference on Atomic and Nuclear Physics” negli Stati Uniti, come testimoniato da un link che ha suscitato non poche polemiche nella comunità accademica. L’idea di una macchina che produce lavori accettati da conferenze scientifiche solleva, ovviamente, interrogativi sulla validità e sull’autenticità del processo di ricerca accademica, ma questo episodio, per quanto peculiare, non è isolato.
Guardando a una fase ancora più remota e affascinante della storia dell’intelligenza artificiale applicata alla logica matematica, troviamo nel 1956 il famoso caso del Logic Theorist (LT) creato da Allen Newell e Herbert Simon. Questo programma, spesso considerato uno dei primi esempi di IA, non solo aveva risolto 38 dei primi 52 problemi del secondo capitolo della monumentale opera di Russell e Whitehead, Principia Mathematica, ma aveva persino prodotto una soluzione più elegante per il problema 2.85 rispetto a quella proposta originariamente dai due autori. Un risultato che, sebbene passato quasi inosservato all’epoca, oggi ci sembra un’autentica prodezza tecnologica.
Nonostante questo trionfo dell’intelligenza artificiale, la comunità accademica non fu del tutto pronta ad accettare il contributo di una macchina nel campo della logica simbolica. Il lavoro del Logic Theorist fu rifiutato dalla Journal of Symbolic Logic in un episodio che segnò una frattura importante tra la matematica tradizionale e l’emergente campo dell’IA. Questo rifiuto fu tanto più significativo se consideriamo che il Logic Theorist non solo aveva prodotto risultati validi, ma lo aveva fatto in modo da suscitare l’ammirazione anche dei più illustri pensatori del tempo.
In una lettera inviata a Bertrand Russell alla fine del 1956, Herbert Simon descrisse con entusiasmo il lavoro del Logic Theorist, sottolineando la “straordinaria” eleganza della prova automatica del programma. La risposta di Russell non si fece attendere e, pur rimanendo laconico, non manco di esprimere una sorta di ironia malinconica. Scrisse infatti: “Sono felice di sapere che Principia Mathematica può ora essere risolto da una macchina. Avessi solo saputo di questa possibilità prima che io e Whitehead sprecassimo dieci anni a farlo a mano. Sono del tutto pronto a credere che tutto ciò che riguarda la logica deduttiva possa essere fatto da una macchina.”
La dichiarazione di Russell non è solo una riflessione sulla fatica e sull’isolamento degli intellettuali nel produrre lavoro matematico, ma anche una dichiarazione profetica sulla direzione che avrebbe preso l’informatica e l’intelligenza artificiale negli anni successivi. L’idea che la logica deduttiva, una delle basi della filosofia della matematica, potesse essere delegata a una macchina, ci mostra quanto l’intelligenza umana sia sempre stata affascinata dall’idea di riprodurre e, forse, superare se stessa attraverso la tecnologia.
Oggi, alla luce dei progressi esponenziali dell’intelligenza artificiale, le affermazioni di Russell sembrano non solo profetiche ma quasi inevitabili. Se l’IA può scrivere articoli scientifici accettati e risolvere teoremi matematici con maggiore eleganza, il confine tra ciò che può essere creato dall’uomo e ciò che può essere delegato a una macchina si sta facendo sempre più sfumato. Certamente, questa evoluzione non è priva di polemiche. La capacità delle macchine di generare ricerca originale solleva interrogativi etici, pratici e filosofici: se una macchina può scrivere un articolo che viene accettato da una conferenza scientifica o da una rivista accademica, quale valore attribuire al lavoro umano in tale contesto? E soprattutto, cosa accadrà quando le macchine saranno in grado non solo di risolvere problemi, ma anche di generare nuove teorie scientifiche senza il contributo diretto dell’uomo?
Non è difficile immaginare che, nel giro di pochi anni, i lavori scientifici scritti da IA diventeranno la norma in molte discipline. Non si tratta solo di una questione tecnologica, ma anche di una sfida fondamentale alla nostra concezione di creatività, originalità e scoperta scientifica. L’era della “scoperta automatica” è già iniziata, e ciò che Russell e Whitehead avevano faticosamente costruito a mano, oggi potrebbe essere automatizzato, con la speranza che ciò non venga visto solo come un “rifiuto” ma come un passo naturale verso una nuova forma di progresso scientifico.