L’intelligenza artificiale sta vivendo una delle sue evoluzioni più frenetiche e, se c’è un’azienda che sta cercando disperatamente di non restare indietro, quella è Google. Un ampio reportage di Wired offre uno sguardo affascinante sul dietro le quinte di Google, descrivendo come l’azienda di Mountain View stia cercando di colmare il gap rispetto a OpenAI, che è riuscita a fare il botto con GPT. È come se Google fosse stato improvvisamente svegliato da un sonno profondo, dove fino a qualche tempo fa il dominio dell’AI era considerato un dato di fatto, ma il panorama stava cambiando, e non in meglio per loro.
Il primo impatto lo ha avuto Sundar Pichai, CEO di Google, che si è visto sfidato non solo da una startup sconosciuta (OpenAI), ma da un fenomeno tecnologico globale che ha catturato l’immaginazione di tutti. Pichai e i suoi collaboratori hanno dovuto affrontare non solo una sfida tecnologica, ma anche una crisi di identità. Google, un gigante della ricerca, stava rischiando di essere tagliato fuori da un campo che aveva contribuito a definire. È una situazione che ha messo in discussione anni di dominio incontrastato nei motori di ricerca, riducendo la sua leadership tecnologica a un ricordo di un’era ormai superata.
Nel cuore di questa corsa, un episodio curioso è emerso. Una dirigente di Google ha descritto come, invece di parlare con sua sorella durante i tragitti giornalieri, si sia ritrovata a conversare con Gemini Live, il modello AI sviluppato dalla compagnia. È un dettaglio interessante che fa capire quanto l’AI stia diventando parte integrante della vita quotidiana, al punto che molte persone sembrano preferirle alle conversazioni umane. Non solo un’evoluzione tecnologica, ma una vera e propria rivoluzione sociale, dove l’interazione con le macchine sta prendendo piede nelle dinamiche quotidiane.
La sfida di Google non è solo quella di sviluppare un’intelligenza artificiale che sia all’altezza di OpenAI, ma di farlo nel minor tempo possibile. Il progetto Gemini, infatti, è il risultato di un investimento considerevole e di una corsa contro il tempo per cercare di riprendersi una posizione dominante. Ma questa “frenesia” ha anche evidenziato le difficoltà interne, le divisioni tra i team e l’incertezza su quale fosse la direzione giusta da prendere. La competizione non è solo tecnologica, ma anche politica, con ingerenze interne su come e quanto velocemente l’azienda dovesse agire. Questo tipo di pressione, tipica di un colosso tecnologico come Google, ha fatto sì che si sviluppassero soluzioni più rapide e più rischiose.
Anche se la sfida è ardua, Google ha il vantaggio di avere una base di utenti enorme e una potenza computazionale che non ha pari. Ma la domanda cruciale è se riuscirà a sfruttare questi vantaggi per superare un competitor che ha saputo sorprendere il mondo con una tecnologia tanto potente quanto rivoluzionaria. La sensazione che aleggia nell’aria è che Google stia correndo per restare al passo con qualcosa che non può più controllare come una volta. La questione non è più solo tecnologica, ma anche culturale: l’AI non è più una nicchia per esperti, ma una parte vitale della vita quotidiana.
Se Google riuscirà a raggiungere OpenAI, o se invece la compagnia di San Francisco manterrà il suo vantaggio, è ancora tutto da vedere. Ma una cosa è certa: non si può più ignorare il ruolo centrale che l’intelligenza artificiale sta assumendo. Il futuro di Google, così come quello di OpenAI, sarà determinato non solo dalla tecnologia che svilupperanno, ma anche dalla capacità di navigare le acque turbolente di un panorama tecnologico sempre più competitivo e complesso. Per una visione completa della frenesia e della corsa interna di Google, l’articolo di Wired è assolutamente imperdibile qui