Il caso DeepSeek è la dimostrazione più chiara di come l’intelligenza artificiale in Cina sia ormai considerata un asset strategico al pari delle riserve di terre rare o dei segreti militari. Quando un governo inizia a sequestrare passaporti ai dipendenti di una startup privata e a impedire che vengano contattati da cacciatori di teste, il messaggio è chiaro: questa tecnologia non deve finire nelle mani sbagliate.

Il governo cinese sta applicando un controllo totale su DeepSeek, un’azienda che fino a poco tempo fa si muoveva con relativa indipendenza nel panorama dell’IA. Oggi i suoi dipendenti sono sotto sorveglianza, gli investitori devono passare al setaccio del governo prima ancora di poter ottenere un incontro, e la fuga di talenti è stata praticamente bloccata alla radice. Chi lavora per DeepSeek non può lasciare il paese senza un permesso speciale, e chi cerca di assumere qualcuno della loro squadra viene invitato, gentilmente ma fermamente, a farsi da parte.

Non è la prima volta che la Cina interviene per proteggere settori tecnologici chiave. Huawei è stato un precedente importante: prima appoggiata, poi strettamente controllata quando la sua tecnologia è diventata troppo critica per essere lasciata nelle mani del libero mercato. Ma la vicenda DeepSeek porta il concetto a un nuovo livello. Qui non si parla di hardware, ma di algoritmi e cervelli, che evidentemente Pechino considera ancora più preziosi.

Perché questa mossa ora? Probabilmente è una combinazione di fattori. Il rafforzamento delle restrizioni americane sui semiconduttori ha reso chiaro che la Cina non può permettersi fughe di cervelli in settori chiave. Gli Stati Uniti e i loro alleati stanno cercando di limitare l’accesso di Pechino ai chip avanzati, ma cosa succede se l’IA cinese riesce comunque a fare progressi significativi? Ecco che entra in gioco una strategia preventiva: blindare la risorsa più importante, ovvero il capitale umano.

Il controllo degli investitori è un altro segnale di quanto la Cina voglia evitare di trovarsi con sorprese. Non si tratta solo di proteggere DeepSeek da investimenti stranieri che potrebbero tradursi in fughe di dati o acquisizioni indirette. Anche gli investitori nazionali devono dimostrare di essere allineati con la visione del Partito. Un finanziamento da parte del soggetto sbagliato potrebbe significare perdita di controllo o influenze esterne indesiderate.

Ma c’è un problema: l’innovazione prospera sulla libertà. La forza delle aziende leader dell’IA, da OpenAI a Google DeepMind, è nella capacità di attrarre e trattenere i migliori talenti senza costrizioni. Se DeepSeek diventa una prigione dorata, quanto tempo passerà prima che i suoi scienziati inizino a sentirsi soffocati? E soprattutto, può un’azienda sotto un controllo così stretto continuare a essere competitiva a livello globale?

Per ora, Pechino sembra più preoccupata della sicurezza che della creatività. Il rischio è che l’iper-controllo trasformi DeepSeek in un gigante tecnologico incapace di adattarsi al rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale globale. Se il futuro dell’IA è una corsa tra le superpotenze, la Cina ha deciso di giocare la carta della protezione assoluta. Resta da vedere se questa strategia pagherà o se soffocherà l’innovazione che intendeva difendere.