Immaginate se i ladri vi mandassero una lettera formale per chiedervi il permesso di entrare in casa vostra, prendere ciò che vogliono e poi rivendere il tutto con un bel margine di profitto. No, non è una distopia, è semplicemente il nuovo modello di business delle big tech. OpenAI e Google hanno ufficialmente chiesto al governo degli Stati Uniti di legalizzare il furto di contenuti protetti da copyright per addestrare le loro intelligenze artificiali, sostenendo che negarglielo sarebbe una minaccia alla sicurezza nazionale.

Sì, avete capito bene. Non solo queste aziende hanno costruito i loro modelli estraendo massicciamente dati senza chiedere permesso, ma ora vogliono anche il timbro di approvazione ufficiale. Nel loro commento, OpenAI avverte che se gli Stati Uniti non permetteranno alle aziende americane di attingere liberamente ai contenuti altrui, allora la Cina, che di certo non si fa troppi problemi con il copyright, prenderà il sopravvento. Un discorso che suona come un ultimatum mascherato da preoccupazione patriottica: o ci lasciate saccheggiare tutto senza ostacoli, o perderemo la supremazia nell’AI.

L’iniziativa arriva dopo che Donald Trump ha revocato l’ordine esecutivo sull’IA dell’amministrazione precedente, segnando un cambio di rotta nella regolamentazione dell’intelligenza artificiale negli Stati Uniti. OpenAI e Google sostengono che un approccio più flessibile al copyright sia essenziale per mantenere la leadership americana nell’innovazione tecnologica e nella ricerca scientifica.

Google, ovviamente, non poteva mancare alla festa. Anche il colosso di Mountain View ribadisce che copyright, privacy e brevetti sono fastidiosi intoppi sulla strada dell’innovazione e che il fair use dovrebbe permettere di “accedere in modo appropriato” ai dati necessari. Traduzione: lasciateci usare il vostro lavoro senza pagare, perché contrattare con chi detiene i diritti è una seccatura inutile.

Nel frattempo, Anthropic ha deciso di non toccare il tema del copyright nella sua proposta al governo, preferendo concentrarsi su questioni di sicurezza nazionale e sulle necessità infrastrutturali per l’espansione dell’AI. Forse per evitare di infastidire troppo l’opinione pubblica, o forse perché sa che OpenAI e Google si stanno già occupando della parte sporca.

Naturalmente, questo affronto al diritto d’autore non è passato inosservato. OpenAI è già sotto il fuoco di diverse cause legali, tra cui quella del New York Times e di autori come Sarah Silverman e George R.R. Martin, che hanno accusato l’azienda di aver saccheggiato i loro lavori per addestrare i modelli di AI. Nel frattempo, emergono accuse anche contro Apple, Nvidia e la stessa Anthropic, che avrebbero usato i sottotitoli di YouTube senza autorizzazione, spingendo la piattaforma a dichiarare che questo viola i suoi termini di servizio.

Oltre alle questioni di copyright, sia Google che OpenAI hanno sollevato preoccupazioni sulla frammentazione normativa che caratterizza attualmente il panorama legislativo statunitense in materia di intelligenza artificiale. Attualmente, oltre 780 progetti di legge legati all’IA sono in discussione a livello statale, creando un quadro normativo caotico che potrebbe frenare l’innovazione e la competitività delle aziende americane.

Google ha esortato l’amministrazione Trump a implementare una politica federale unitaria che garantisca un quadro normativo chiaro, evitando che le aziende debbano destreggiarsi tra regolamenti contrastanti a livello statale.

L’azienda ha avvertito che, nonostante gli Stati Uniti siano attualmente leader nel settore dell’intelligenza artificiale, questa posizione non è garantita. A sottolineare questa preoccupazione sono anche le dichiarazioni del vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, che durante il summit sull’intelligenza artificiale a Parigi ha ribadito la necessità di una strategia chiara per consolidare la leadership americana.

Avete capito? Le big tech non solo hanno già saccheggiato il web per costruire le loro AI, ma ora vogliono che il governo dia loro la benedizione ufficiale per continuare indisturbate. E tutto questo con la solita narrazione di “sicurezza nazionale” e “progresso tecnologico”, mentre gli autori, i creatori di contenuti e le aziende che producono dati restano a guardare, con sempre meno strumenti per difendere ciò che è loro.

La nuova direzione dell’amministrazione Trump è chiara: meno regolamentazione, più investimenti e un focus sulla competitività globale. Con il “Stargate Project” da 500 miliardi e l’orientamento a ridurre i vincoli normativi, il presidente sta cercando di trasformare gli Stati Uniti nel centro nevralgico dello sviluppo dell’intelligenza artificiale.

La sfida, tuttavia, rimane complessa. Se da un lato la deregolamentazione può favorire l’innovazione e attrarre investimenti, dall’altro solleva questioni critiche su privacy, sicurezza dei dati e diritti d’autore. La decisione finale spetterà al Congresso e alla comunità tecnologica, che dovranno bilanciare progresso e tutela dei diritti in un settore destinato a ridefinire il futuro dell’economia globale.