Claude Code, lo strumento di coding basato su intelligenza artificiale rilasciato da Anthropic. In un solo weekend, ha visto settimane di lavoro ridursi a poche ore, come se il tempo si fosse contratto attorno a me. Non scrivevo codice, lo evocavo.

Questo è il concetto alla base del vibe coding, un termine entrato di recente nel lessico tecnologico grazie a Andrej Karpathy, ex dirigente di OpenAI e Tesla. Il 2 febbraio ha twittato di “un nuovo tipo di coding che chiamo ‘vibe coding’, dove ti abbandoni completamente alle vibrazioni, abbracciando l’esponenzialità dell’AI e dimenticandoti che il codice esista.”

In pratica, significa interagire con un’intelligenza artificiale come Claude Code o Cursor di Anysphere con richieste naturali come si farebbe con un assistente virtuale per scrivere un’email o riassumere una ricerca. Invece di scrivere codice riga per riga, il programmatore “sente” cosa deve essere fatto e lascia che sia l’AI a gestire la sintassi, gli errori e gran parte della logica.

Karpathy stesso ha descritto questo processo con un livello di disinvoltura quasi offensivo per i puristi del coding: “Chiedo le cose più stupide, tipo ‘diminuisci il padding della sidebar della metà’ perché sono troppo pigro per trovarlo da solo… Quando ho messaggi di errore li copio e incollo senza commento, di solito così si risolve.” Non è magia, è semplicemente una nuova modalità di interazione: un software che non richiede più di pensare in termini di linguaggio di programmazione, ma in termini di risultato desiderato.

Il mito del coding e la realtà delle AI agentiche

Il vibe coding suona come una rivoluzione, il momento in cui l’AI ha finalmente preso il controllo del processo creativo, ma la realtà è più sfumata. Non siamo ancora al punto in cui si può dire a Claude Code di “creare un gioco in stile Age of Empires ambientato nell’Europa rinascimentale” e aspettarsi un file eseguibile pronto per il download. L’AI non ha ancora abbastanza capacità di astrazione e progettazione per produrre software complessi da zero.

Ciò che sta succedendo, però, è altrettanto impattante: nuovi modelli di ragionamento e agenti AI stanno rendendo l’automazione dello sviluppo software sempre più potente. Gli strumenti basati su AI sono ancora, e resteranno per un po’, semplici acceleratori per programmatori esperti, capaci di dimezzare i tempi di sviluppo e ridurre il peso delle attività più ripetitive. Un principiante senza conoscenze tecniche, invece, difficilmente riuscirebbe a sfruttarli con efficacia.

Anyway “bisogna almeno avere un’idea di alto livello di cosa deve fare il codice. Non lo consiglierei a qualcuno che non ha mai programmato.”

Il futuro del coding: fine dell’oro, inizio del ferro

Se oggi l’AI non è in grado di eliminare del tutto la figura dello sviluppatore, ciò non significa che non stia ridefinendo il settore. Il coding, un tempo considerato una delle competenze più sicure per ottenere uno stipendio a sei cifre, non è più la fortezza inespugnabile che era dieci anni fa.

Le AI agentiche minacciano in particolare i lavori di basso livello, quelli basati su attività meccaniche come debugging, refactoring e piccoli sviluppi iterativi. Il software engineering sarà sempre una professione ben pagata, ma la differenza tra un professionista capace di progettare sistemi complessi e uno sviluppatore che esegue compiti ripetitivi diventerà sempre più evidente.

L’era del vibe coding potrebbe non segnare la fine definitiva del coding tradizionale, ma di certo sta erodendo il mito del programmatore come artigiano del codice. Chi si rifiuta di abbracciare questa evoluzione rischia di restare bloccato in un mondo in cui la sintassi è più importante del pensiero strategico un mondo che l’AI sta rapidamente lasciando indietro