Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti non molla la presa su Google e, con la determinazione di un collezionista di francobolli ossessionato dall’ultimo pezzo mancante, ha nuovamente chiesto a un tribunale federale di costringere l’azienda di Mountain View a separarsi dal suo browser Chrome.

L’obiettivo?

Smontare il presunto monopolio illegale della ricerca online che, secondo l’accusa, soffoca la concorrenza e mantiene Google sul trono assoluto della pubblicità digitale.

L’argomento non è nuovo, ma questa volta il DOJ sembra voler giocare il tutto per tutto, riproponendo nella sua documentazione depositata venerdì gran parte delle misure già avanzate in precedenza.

Il punto focale rimane l’abolizione dei pagamenti ad Apple e ad altri giganti del tech, compensati da Google per garantire che il suo motore di ricerca resti il predefinito nei dispositivi più utilizzati.

Questo aspetto era già stato bollato come pratica monopolistica dal giudice distrettuale Amit Mehta nell’agosto scorso.

Tuttavia, c’è una piccola sorpresa: il Dipartimento ha fatto un passo indietro su un altro fronte, quello degli investimenti di Google nelle aziende di intelligenza artificiale.

Una marcia indietro che, guarda caso, avvantaggia proprio Anthropic, la startup AI che ha ricevuto miliardi di dollari in finanziamenti dal colosso di Mountain View.

Strana coincidenza o semplice ammissione che Google è ormai troppo intrecciata con lo sviluppo dell’AI per essere esclusa dal gioco?l

La battaglia legale si scalda: google risponde

Google, ovviamente, non è rimasta a guardare e ha presentato la sua controproposta per la sentenza finale, cercando di limitare i danni. La sua strategia si concentra soprattutto sull’interruzione dei pagamenti per il trattamento di ricerca preferenziale, ma evita accuratamente il tema della separazione da Chrome, come se fosse un argomento tabù. Un segnale chiaro: per Google, perdere il browser significherebbe molto più di una semplice sconfitta giudiziaria.

L’azienda di Sundar Pichai è perfettamente consapevole che Chrome è una delle colonne portanti della sua strategia di dominio nel settore della ricerca.

Controllare il browser significa avere accesso diretto alle abitudini degli utenti, integrando il motore di ricerca nel modo più fluido possibile e ottimizzando la pubblicità personalizzata.

In altre parole, perdere Chrome significherebbe consegnare a rivali come Microsoft e Apple una fetta importante del mercato su un piatto d’argento.

Cosa succede adesso?

L’udienza definitiva sulla questione è attesa per il mese prossimo e il giudice Mehta ha già anticipato che emetterà la sentenza finale sui rimedi ad agosto. Se la richiesta del Dipartimento di Giustizia dovesse essere accolta, Google potrebbe trovarsi costretta a vendere Chrome, in quello che sarebbe il più grande smantellamento antitrust dai tempi della separazione forzata di AT&T negli anni ‘80.

Ma, realisticamente, cosa cambierebbe per gli utenti?

Separare Chrome da Google potrebbe ridurre il vantaggio dell’azienda sulla concorrenza, ma non necessariamente migliorare l’esperienza degli utenti o aprire davvero il mercato. Il rischio è che si crei semplicemente un altro colosso con dinamiche simili. Dopotutto, Microsoft con Bing e Edge non è esattamente un modello di apertura e innovazione libera.

Per ora, la battaglia continua, e il destino di Chrome è appeso a un filo. Ma una cosa è certa: la guerra dei motori di ricerca è tutt’altro che finita, e la prossima mossa potrebbe riservare sorprese.