La storia di Mark Leonard, (non è ZZ top) l’uomo che ha costruito un impero da 92 miliardi di dollari senza far rumore, non è solo il racconto di un genio dell’M&A. È il manifesto cinico di una contro-economia: l’anti-hype economy. In un’era in cui le lobby governano l’accesso all’AI, alla regolamentazione, al capitale e alla visibilità, Leonard ha scelto di non giocare quella partita. E, paradossalmente, ha vinto proprio per questo.

Mentre i venture capitalist bruciano miliardi su modelli generativi che sanno a malapena vendersi, Leonard accumulava aziende B2B nascoste nei meandri più noiosi del software verticale. Settori in cui non esistono panel, conferenze o evangelist da LinkedIn. Ma esiste, eccome, il cash flow.

Leonard non solo ha ignorato le lobby della Silicon Valley, ma ha deliberatamente costruito una macchina che le rende irrilevanti. Constellation Software non chiede favori regolatori, non ha bisogno di apparire al WEF o in un talk di TED. Non fa hype. Fa soldi.

E ora, con l’AI al centro della nuova corsa all’oro, la vera domanda è: dove si posiziona Leonard in questa partita? La risposta è disturbante, perché potrebbe non giocarla affatto. Oppure, peggio ancora per tutti gli altri, potrebbe aver già vinto.

L’AI non è solo una tecnologia. È il nuovo asse geopolitico, culturale ed economico. Chi controlla l’AI controlla i dati, i mercati, le narrative. Ma l’AI ha fame di nicchie, di contesto, di specificità. Ed è esattamente quello che il portafoglio di Leonard contiene in abbondanza: conoscenza settoriale embedded in centinaia di micro-aziende che servono ogni verticale immaginabile, dal software per le cooperative agricole islandesi fino al gestionale per le case funerarie del Midwest.

In un contesto in cui i modelli di AI generalisti stanno affrontando i limiti strutturali della scala (vedi GPT-4 che inizia a balbettare su domini specialistici), il vero valore si sposterà sugli expert systems verticali. E chi possiede questi sistemi? Leonard.

L’analisi cinica è questa: Leonard sta seduto sopra il più vasto dataset strutturato privato del pianeta, distribuito su 800 aziende, con una granularità che OpenAI si sogna. Ma mentre tutti giocano a fare i paladini della trasparenza, Leonard non scrive nemmeno più agli azionisti. Non ha bisogno di narrazione. La macchina funziona in silenzio.

E qui entra il tema delle lobby.

In un’economia iper-regolata, chi è dentro il circuito può manovrare. Chi è fuori viene schiacciato. Ma Leonard ha capito un’altra cosa: se operi sotto la soglia di attenzione, sei invisibile. E l’invisibilità, nel mondo delle lobby, è potere assoluto. Non sei nel radar, quindi non sei un target. Le sue aziende non competono per fondi pubblici, non creano disoccupazione se falliscono, non fanno notizia. Sono asset silenziosi, resilienti, nascosti.

La nuova fase sarà probabilmente una sinergia tra VMS e modelli LLM verticali: soluzioni AI che non puntano a rispondere a tutto, ma a risolvere problemi estremamente specifici con altissima precisione. E chi possiede il dominio verticale, oggi, possiede l’unico vantaggio competitivo davvero scalabile nella nuova AI economy: il contesto.

La conclusione non è che Leonard entrerà nel business dell’AI con una piattaforma pubblica o una fondazione da 100 milioni per “democratizzare la tecnologia”. Non sarebbe da lui. Ma se domani uno dei suoi BU leader decide di integrare un LLM per aiutare le aziende di smaltimento rifiuti a ottimizzare i percorsi dei camion, quel tool diventa dominante in quella nicchia. E così via, per centinaia di microcasi. Nessuna AI generalista potrà starle dietro. Nessuna lobby potrà intervenire. Troppo piccolo per essere regolato. Troppo strategico per essere replicato.

Leonard non ha hackerato solo il venture capital. Sta hackerando l’intera narrativa della centralizzazione AI. E lo sta facendo come sempre: senza dire una parola.