I membri del Congresso degli Stati Uniti vengono eletti per un periodo di 4 anni, solitamente 2 anni dopo l’elezione del Presidente. Quest’anno, 435 membri della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti e 35 membri del 
Senato degli Stati Uniti . Inoltre, 39 stati eleggeranno i governatori, mentre le cariche politiche minori saranno rinnovate anche nelle elezioni locali.

Ma a Washington il tempo è un concetto elastico, modellato ad arte dai burattinai della politica. Un giorno tutto sembra bloccato in un’eterna attesa, il giorno dopo la realtà cambia con la velocità di un tweet presidenziale. E, voilà, ecco le elezioni di medio termine! La scacchiera politica, pazientemente preparata da ogni stratega d’America, viene ribaltata come un tavolo da poker dopo una mano sfortunata.

Sam Altman, il genietto della Silicon Valley con la faccia da bravo ragazzo e il fiuto da squalo, ha capito benissimo questo meccanismo. Non si è fatto problemi a presenziare all’insediamento di Donald Trump, facendo il bravo ospite in prima fila. Il giorno dopo, eccolo in conferenza stampa con il presidente, Larry Ellison e Masayoshi Son, a decantare le lodi di un misterioso “Progetto Stargate” , Sì come la serie TV, solo con meno alieni e più miliardi in ballo.

Ma ecco il colpo di scena: Altman, che una volta sganciava assegni ai democratici con la disinvoltura di un miliardario annoiato, ora pare aver avuto una crisi di fede.

Secondo il New York Times, ha deciso di tornare alla vecchia fiamma: la raccolta fondi per i liberal. Più tardi questo mese, ospiterà una serata per il senatore della Virginia Mark Warner, che nel 2026 si troverà a dover difendere il suo scranno. È la prima volta dal 2022 che Altman organizza un evento per un democratico. Perché ora? Perché Altman, da buon giocatore d’azzardo, sa che puntare tutto su Trump potrebbe essere un investimento poco sicuro.

E come dargli torto? Il tycoon è tornato al potere con la sua consueta dose di caos, ma il vento cambia in fretta, specialmente se i mercati iniziano a soffrire e gli industriali iniziano a storcere il naso. Il primo segnale? Il crollo della borsa dopo che la Casa Bianca ha improvvisamente deciso di rimescolare le carte sui dazi. Il secondo? Joe Lonsdale, investitore vicino a Elon Musk e trumpiano convinto, che ha pubblicamente stroncato l’idea della criptovaluta federale proposta da Trump. Insomma, per una volta l’agenda presidenziale non è stata accolta con il consueto applauso incondizionato dai boardroom americani.

Altman, dal canto suo, non è nuovo a questi equilibrismi. È l’incarnazione perfetta della Silicon Valley che gioca su più tavoli. Un giorno stringe la mano a Trump, il giorno dopo stappa champagne con i democratici.

La sua danza tra potere e finanza non è solo un’esibizione di opportunismo, ma un segnale: il presunto spostamento della Silicon Valley verso il conservatorismo potrebbe essere meno solido di quanto appaia. Perché alla fine, più che ideologie e slogan, ai CEO interessa una sola cosa: stabilità economica. Se Trump non sarà in grado di offrirla, saranno prontissimi a cambiare nuovamente schieramento.

E quella scacchiera? Niente paura, Altman e soci sanno benissimo come rimettere in gioco i pezzi.

Credit: VentureBeat made with Midjourney