“Sovranità tecnologica e concorrenza sono due leve fondamentali per il futuro dell’Europa digitale”. Con queste parole, l’amministratore delegato di Tim, Pietro Labriola, ha lanciato un messaggio chiaro dal suo profilo LinkedIn, in occasione della riunione del board dell’azienda a Barcellona, a margine del Mobile World Congress 2025. L’evento, che ogni anno riunisce i leader globali delle telecomunicazioni, ha offerto a Labriola l’opportunità di confrontarsi con due figure chiave della Commissione Europea: Henna Virkkunen, vicepresidente per la sovranità tecnologica, la sicurezza e la democrazia, e Teresa Ribera, responsabile per la concorrenza. Un dialogo che sottolinea l’urgenza di un’Europa digitale più autonoma e competitiva, capace di affrontare le sfide di un mercato dominato da giganti tecnologici extraeuropei.

Labriola non usa mezzi termini: investire in infrastrutture come 5G, fibra ottica e sicurezza informatica non è solo una necessità, ma “una straordinaria opportunità” per stimolare la crescita economica e rafforzare il posizionamento globale dell’Europa. Tuttavia, avverte, senza un quadro normativo adeguato, la transizione digitale rischia di rimanere un sogno irrealizzabile. “Servono regole che incentivino innovazione, investimenti e consolidamento”, scrive, rilanciando una richiesta che gli operatori del settore ripetono da tempo. L’obiettivo è chiaro: garantire che le reti, pilastro della rivoluzione digitale, siano solide e sostenibili, evitando che il peso degli investimenti ricada solo sulle spalle delle telco europee.

La sfida della concorrenza e dei giganti digitali

Al centro del ragionamento di Labriola c’è un nodo critico: il rapporto tra operatori tradizionali e big tech. “Non possiamo permettere che pochi giganti digitali sfruttino le reti senza contribuire alla crescita”, afferma, toccando un tema caldo nel dibattito europeo. Aziende come Google, Amazon e Meta, che generano enormi volumi di traffico dati, spesso non partecipano ai costi di sviluppo e manutenzione delle infrastrutture di rete, lasciando agli operatori locali – come Tim – il compito di sostenere investimenti miliardari. Secondo stime dell’ETNO (European Telecommunications Network Operators’ Association) del 2024, le telco europee spendono circa 50 miliardi di euro all’anno in infrastrutture, mentre i contributi dei grandi player digitali restano marginali.

Per Labriola, la concorrenza è sacrosanta, ma deve essere equa e bilanciata con la sostenibilità del settore. Un mercato in cui pochi dominano senza reinvestire rischia di indebolire l’ecosistema digitale europeo, compromettendo la capacità dell’Ue di competere con Stati Uniti e Cina, dove politiche più aggressive sostengono l’espansione tecnologica.

La soluzione? Un intervento deciso delle istituzioni europee, chiamate a scelte che vadano oltre la semplice regolamentazione e guardino al digitale come “il futuro delle nostre economie e società”.

Una direzione condivisa con l’Ue

Il confronto con Virkkunen e Ribera sembra aver acceso una luce di speranza. Labriola riconosce nelle due commissarie “attenzione e consapevolezza” rispetto alle sfide del settore, un segnale che l’Ue potrebbe essere pronta a rivedere le proprie strategie. La sovranità tecnologica, cara a Virkkunen, passa inevitabilmente per il controllo delle infrastrutture critiche e la riduzione della dipendenza da tecnologie straniere, mentre la missione di Ribera sulla concorrenza potrebbe tradursi in regole più equilibrate tra telco e big tech. “Inaction is not an option”, scrive Labriola in inglese, sottolineando l’urgenza di agire. “Noi operatori siamo pronti a fare la nostra parte. Andiamo avanti in questa direzione, insieme. È quella giusta”.

Un futuro da costruire

L’appello di Labriola arriva in un momento cruciale. Secondo il Digital Economy and Society Index (DESI) 2024, l’Europa fatica a tenere il passo con i leader globali in termini di connettività e innovazione digitale: solo il 55% delle aree rurali Ue è coperto dal 5G, contro l’80% negli Usa e il 90% in Cina. Investire in reti di nuova generazione e sicurezza non è più rinviabile, ma richiede un’alleanza tra pubblico e privato che superi i vincoli burocratici e le resistenze al consolidamento del settore, spesso ostacolato da regole antitrust rigide.

Il messaggio di Tim – che ha chiuso il secondo semestre del 2024, dopo la cessione della rete al consorzio guidato da Mef e Kkr, con un risultato positivo per 139 milioni di euro – è un invito all’azione, ma anche una visione: un’Europa che non si limiti a inseguire, ma che detti il passo nel digitale. Con il sostegno di Bruxelles e una regolamentazione più lungimirante, la sovranità tecnologica e la concorrenza equa possono diventare i pilastri di una rinascita digitale.

La palla ora è nelle mani delle istituzioni: sapranno cogliere l’opportunità?