L’infrastruttura digitale è la nuova spina dorsale dell’economia globale e i data center rappresentano i pilastri su cui si basano servizi essenziali come cloud computing, intelligenza artificiale, e-commerce e comunicazioni digitali. L’Italia si trova di fronte a una sfida cruciale: riuscirà a diventare un hub strategico per i data center o rimarrà ai margini rispetto alle nazioni europee più avanzate?

Il boom globale e il posizionamento italiano

Il mercato dei data center in Europa cresce a ritmi vertiginosi, con hub consolidati a Londra, Francoforte, Amsterdam e Dublino, ma anche l’Italia sta finalmente guadagnando terreno. Nel 2024, il nostro Paese ospita il 6% delle infrastrutture europee, un dato ancora lontano dall’8% della Germania, ma superiore ai numeri di Spagna e Olanda. Certo i numeri scendono se consideriamo il panorama mondiale dei data center, con gli Stati Uniti che staccano tutti gli altri Paesi.

Negli ultimi anni, la domanda di data center in Italia è esplosa: nel 2023, il consumo di energia delle infrastrutture esistenti ha raggiunto i 430 MW, circa il 3% del fabbisogno nazionale. Le previsioni indicano una crescita esponenziale, con investimenti fino a 15 miliardi di euro in nuove strutture. Milano e Roma si candidano a diventare poli di riferimento, seguendo il modello di Berlino e Varsavia.

Ma quali città potrebbero emergere oltre queste due? Lo abbiamo chiesto ad Antonio Baldassarra, CEO di Seeweb, uno dei principali cloud provider italiani. “Per motivi storici, Milano ha visto una forte evoluzione delle infrastrutture di rete e dei data center, propagatasi ultimamente anche all’hinterland. Roma è arrivata con un certo ritardo”, spiega Baldassarra, sottolineando però che altre realtà come Arezzo, Frosinone, Caserta e persino Lamezia Terme stanno guadagnando spazio. A tale proposito, secondo Baldassarra, non si tratta di “indicare città”, ma di seguire la dinamica del mercato: “un data center si posiziona dove si stima ce ne sarà bisogno, non per opportunità politiche o occupazionali come una fabbrica”.

Big Tech all’attacco: chi sta investendo in Italia?

I giganti del cloud non stanno a guardare. Microsoft ha raddoppiato gli investimenti nelle sue infrastrutture italiane, OpenAI ha scelto il nostro Paese per lanciare progetti strategici sull’AI, e Meta sta espandendo la propria presenza in Europa con data center all’avanguardia. Amazon e Google non sono da meno, con nuovi hub logistici e infrastrutturali a supporto del crescente fabbisogno di elaborazione dati.

Ma come si inseriscono le aziende italiane in questo scenario dominato dai big internazionali? Baldassarra offre una prospettiva chiara: “Dobbiamo distinguere tra due tipologie di data center: quelli degli hyperscaler, come Amazon o Google, e quelli degli operatori che forniscono veri e propri ‘servizi di data center’, cosa che gli hyperscaler non fanno”. Non vede una contrapposizione diretta, ma piuttosto una complementarietà perché, osserva, “i grandi operatori internazionali costruiscono data center di grandi dimensioni nei cosiddetti ‘hub nazionali’ come Roma e Milano, mentre gli operatori nazionali puntano su strutture più distribuite, i cosiddetti ‘edge data center’, vicini ai clienti”.

E sulla competizione con Big Tech? Da questo punto di vista il Ceo di Seeweb chiarisce che non ci sono né vantaggi né svantaggi intrinseci per le aziende italiane: “Gli hyperscaler costruiscono data center per le proprie esigenze interne, finalizzate a erogare i loro servizi cloud alle aziende. È come per le banche: costruiscono data center per sé, ma il cliente non ne ha contezza”. Quello che conta, sottolinea, è una competizione equa, si tratta insomma “di contendersi un mercato pubblico e privato senza privilegi, facilitazioni o ostacoli per nessuno. Purtroppo, questo non è del tutto vero oggi, ma confidiamo che Governo e regolatori ristabiliscano le dinamiche di mercato”.

I nodi da sciogliere: energia e burocrazia

Il futuro dei data center in Italia non è solo una questione di investimenti. Il consumo energetico delle nuove infrastrutture sarà un tema caldo: i grandi data center possono arrivare a richiedere oltre 100 MW di potenza, ponendo sfide significative alla rete elettrica nazionale.

Quali investimenti sono prioritari per affrontare questa criticità? Baldassarra evidenzia che le aziende italiane del settore sono solide e capaci di investire, ma il vero ostacolo è altrove. Oggi, continua “l’inibitore principale è la valutazione della domanda. Per un data center serve un tempo di riempimento certo, e molti operatori locali dipendono transitoriamente dagli hyperscaler come clienti. Questi, però, costruiranno i propri data center non appena sarà conveniente“.

Il CEO di Seeweb punta poi il dito sul costo dell’energia e sulla necessità di un mix energetico basato su fonti rinnovabili. “La costruzione dei grandi data center degli hyperscaler peggiorerà una situazione già pessima, facendo ‘prelazione’ sulle risorse energetiche pregiate e rendendole più costose per gli altri” dichiara, mentre sul fronte degli incentivi, propone di estendere il credito d’imposta di Industria 5.0 ai data center e ai cloud provider, “un meccanismo equo per sostenere l’efficienza energetica e la riduzione delle emissioni, con soglie massime per evitare disparità”.

Antonio Baldassarra, Ceo, Seeweb

Inoltre, la burocrazia rappresenta un ostacolo importante: i tempi di approvazione per nuovi progetti possono superare i 12 mesi, rallentando l’attrattività del Paese per gli investitori. “L’Italia è il Paese della burocrazia e delle lungaggini procedurali, continuamente incrementate più che semplificate”, lamenta Baldassarra che aggiunge “sarei stato sorpreso se i data center fossero sfuggiti a questa normalità”.

Il problema, continua, è che queste lentezze alterano la competizione, favorendo alcuni player a scapito di altri, un fenomeno che considera “molto grave, anticompetitivo e dannoso per il Paese”. E sull’allineamento agli standard europei, come quelli di Germania e Irlanda, dove i processi autorizzativi sembrano essere più snelli il Ceo di Seeweb si mostra cauto. “Va oltre le mie competenze” dichiara, anche se, aggiunge “non capisco questa ossessione di ‘attrarre’ investimenti esteri mentre si ostacolano, in modo quasi maniacale, quelli di chi ha capitali in Italia e vorrebbe investirli qui”.

Verso un’Italia digitale: opportunità o occasione persa?

L’espansione dei data center in Italia potrebbe trasformare il Paese in un hub strategico per il cloud e l’intelligenza artificiale, generando posti di lavoro altamente qualificati e migliorando la competitività del settore tecnologico. Tuttavia, senza politiche chiare su energia, semplificazione burocratica e incentivi agli investimenti, il rischio è quello di rimanere indietro rispetto ai concorrenti europei.

La sfida è aperta: l’Italia saprà cogliere questa opportunità?