L’industria tech ha sempre avuto un talento straordinario nel vendere sogni confezionati come rivoluzioni, ma questa volta Cortical Labs si è superata. Con il loro CL1 e la cosiddetta “Cortical Cloud“, promettono di aver creato il primo computer biologico code-deployable. Una fusione tra neuroni coltivati in laboratorio e chip di silicio, capace di apprendere in modo intuitivo, con una presunta efficienza senza precedenti. Sembra il trailer di un film di fantascienza, ma nella realtà, dietro il fumo delle buzzword, la sostanza è molto più discutibile.
Il marketing di Cortical Labs gioca su una narrativa allettante: abbandoniamo il vecchio modello basato sul silicio e affidiamoci a neuroni biologici, capaci di apprendere come il cervello umano, ma con un consumo energetico ridotto. Il problema? Tutto questo è ancora più teorico che pratico. Il concetto di coltivare neuroni su chip e osservarne le reazioni agli input esterni non è nuovo, e finora si è dimostrato più utile per la ricerca neuroscientifica che per l’industria informatica. Ma loro lo impacchettano come una piattaforma cloud, come se fosse l’alternativa scalabile alle GPU NVIDIA per l’IA.
Chiunque abbia esperienza nel settore sa che il training di modelli complessi richiede strutture hardware ottimizzate, compatibilità con strumenti di sviluppo esistenti e un ecosistema software consolidato. Il CL1 e la Cortical Cloud, invece, non sono altro che un esperimento travestito da prodotto. Il problema è che non basta una manciata di neuroni collegati a dei circuiti per costruire un’intelligenza computazionale utile: il cervello umano funziona grazie alla straordinaria complessità della sua rete neurale, non per la semplice presenza di neuroni isolati.
Il business model dell’hype
Cortical Labs sta vendendo il CL1 come se fosse il futuro del computing, ma la realtà è che siamo di fronte a un classico caso di hype senza prodotto maturo. Non esistono prove che il loro “biocomputer” possa risolvere problemi reali meglio di un normale sistema di intelligenza artificiale basato su GPU o TPU. La promessa di un codice eseguibile direttamente su neuroni coltivati è affascinante per la stampa e per gli investitori, ma ha lo stesso livello di concretezza delle prime dichiarazioni sul “quantum computing commerciale” fatte anni fa. Sappiamo com’è andata a finire: oggi il quantum computing è ancora un campo sperimentale con pochissime applicazioni reali.
Un altro punto che solleva più domande che risposte è la presunta efficienza energetica del sistema. Cortical Labs afferma che il loro approccio consuma molto meno di una GPU tradizionale, il che è vero solo se si ignora il costo biologico di mantenere in vita e far funzionare correttamente un substrato neuronale. Se fosse così semplice, l’evoluzione avrebbe già trovato un modo per farci comunicare direttamente con i computer senza dover passare da schermi e tastiere.
Inoltre, l’idea che questi neuroni coltivati possano imparare rapidamente non significa che siano effettivamente programmabili in modo utile. La programmazione tradizionale e l’addestramento delle reti neurali si basano su regole precise e riproducibili, mentre un sistema biologico introduce una variabilità difficile da controllare.
La vera domanda: chi ha bisogno di tutto questo?
Al di là dell’entusiasmo generato dall’idea di un computer biologico, la vera domanda è: chi trarrà beneficio da questa tecnologia? Il settore scientifico potrebbe essere interessato a testare l’apprendimento dei neuroni in ambienti controllati, ma per l’industria tecnologica, la Cortical Cloud non è (ancora) una minaccia né un’alternativa seria alle architetture tradizionali.
In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale generativa sta già trasformando il mondo del lavoro e il calcolo quantistico è ancora in fase embrionale, investire tempo e risorse in un biocomputer sperimentale sembra più un’operazione di branding che una reale svolta tecnologica. Se il CL1 fosse davvero rivoluzionario, le grandi aziende avrebbero già fatto a gara per adottarlo e trasformarlo in uno standard. Invece, tutto ciò che vediamo è una campagna pubblicitaria ben costruita.
Il futuro del computing sarà davvero “biologico”? Forse, ma non certo grazie a una startup che cerca di vendere neuroni in provetta come fossero il nuovo standard dell’IA.