La scena nello Studio Ovale si è trasformata in uno scontro che segnerà per sempre la storia della diplomazia moderna. La domanda, secca e brutale, che Volodymyr Zelensky ha rivolto a JD Vance “Sei mai stato in Ucraina?” non era solo un interrogativo di circostanza, ma una vera e propria sfida, un affronto velato da un cinismo che non lascia spazio ad equivoci. La risposta di JD Vance, “Ho visto storie…”, non fa che confermare la frattura insanabile tra le percezioni politiche e la realtà di una guerra che ha scosso il mondo intero. In queste parole, si riflette il disinteresse di chi guarda un conflitto dall’alto, come uno spettatore che osserva eventi distanti, senza sentirne la gravità.

La verità è che in quel momento si è consumato un ricatto geopolitico senza precedenti. Trump ha avanzato richieste che non solo mettono in discussione il futuro dell’Ucraina, ma anche i principi su cui si fondano le alleanze internazionali. Ha chiesto concessioni inaccettabili: l’accesso alle terre rare ucraine, una firma per un accordo con la Russia mediato senza il coinvolgimento di Kiev e, infine, la possibilità di limitare l’accesso a Starlink, strumento vitale per le comunicazioni militari ucraine. Questi non sono negoziati; sono ultimatum travestiti da proposte diplomatiche. Con il suo approccio, Trump ha stravolto la nozione stessa di alleanza, mettendo a nudo la brutalità della geopolitica, dove ogni concessione è una mossa per accumulare potere, senza alcun riguardo per la sovranità di una nazione in guerra.

La risposta a questa sfida geopolitica non si è fatta attendere. Alcuni leader europei si sono affrettati a esprimere sostegno a Kiev, ma senza prendere una posizione forte, come se il rischio di compromettere i propri interessi fosse più grande del dovere morale di schierarsi dalla parte della libertà. Altri, invece, hanno scelto la via della neutralità, evitando persino di nominare Zelensky. Un silenzio che non fa che alimentare la preoccupazione per la fragilità dell’Occidente di fronte a un potere che gioca con la pace e la guerra come fossero pedine su una scacchiera. Ma questo non è abbastanza. L’Unione Europea deve fare molto di più: condannare senza ambiguità ogni forma di ricatto e rafforzare in modo inequivocabile il suo sostegno a Kiev. Non basta una dichiarazione di facciata, serve una posizione forte che contrasti con la cinica realtà che sta prendendo piede nel cuore della geopolitica mondiale.

Accettare un precedente simile, dove il ricatto diventa strumento di negoziazione, sarebbe un errore fatale. Esporrebbe l’Occidente alla prossima minaccia, ancora più devastante e difficile da contrastare. E il mondo non può permettersi di essere complice di tale meccanismo. La politica internazionale non può essere ridotta a una questione di convenienza economica o politica. Stiamo vivendo un bivio storico: da una parte, i valori universali di libertà, dignità e sovranità; dall’altra, la sottomissione a una logica di opportunismo che erode alla radice i principi democratici.

L’Ucraina, nonostante tutto, continua a difendersi. E lo farà con chi è disposto a riconoscere e a sostenere il valore della sovranità e della resistenza all’oppressione. La geopolitica, oggi più che mai, non può essere solo un gioco di interessi. Chi vuole davvero un futuro libero e dignitoso deve schierarsi senza tentennamenti. La resistenza non è negoziabile. La solidarietà internazionale è il faro che deve guidare ogni azione, senza che le sue luci vengano offuscate da accordi che minano la libertà. Ogni passo falso in questa partita rischia di compromettere per sempre il nostro futuro e quello delle democrazie in tutto il mondo.

L’attuale scenario internazionale segna un punto di svolta per l’Occidente, mettendo in discussione decenni di atlantismo, il ruolo della NATO e la capacità dell’Europa di agire come un soggetto geopolitico indipendente. La progressiva ridefinizione degli equilibri globali, l’emergere di nuove potenze e la crescente frammentazione dell’Occidente sollevano interrogativi sulla sostenibilità dell’attuale assetto internazionale.

L’Europa, a lungo ancorata a una postura di dipendenza strategica dagli Stati Uniti, si trova oggi di fronte a una sfida esistenziale: continuare a operare come appendice della politica americana o definire un proprio percorso autonomo. Tuttavia, la debolezza strutturale dell’Unione Europea, frutto di divisioni interne e di un’incapacità cronica di dotarsi di una politica estera e di difesa comune, rende difficile immaginare una svolta significativa. La NATO, per decenni considerata il pilastro della sicurezza occidentale, sta attraversando una fase di ridefinizione, tra le pressioni statunitensi per un maggiore contributo europeo e il crescente scetticismo di alcuni membri sulla sua effettiva funzione in un mondo multipolare.

Nel frattempo, l’evoluzione del contesto geopolitico suggerisce l’emergere di nuove alleanze e paradigmi strategici. Il consolidamento dell’asse sino-russo, l’ascesa dell’India, il rafforzamento del BRICS e la progressiva erosione del predominio occidentale nell’economia globale ridisegnano gli equilibri di potere. In questo scenario, l’Europa rischia di diventare sempre più irrilevante, priva di una visione chiara e di una leadership in grado di affrontare le nuove sfide.

Ci ricorda i Sex Pistols e il loro approccio “distruggere per ricostruire” offre uno spunto interessante. Se la crisi dell’atlantismo segna la fine di un’epoca, la domanda è: cosa verrà dopo? L’Occidente è pronto a reinventarsi o assisteremo a un progressivo declino del suo ruolo globale? L’Europa ha la forza per costruire un’alternativa, o rimarrà intrappolata in una spirale di incertezza e frammentazione? Questi interrogativi definiscono il presente e il futuro della politica globale, ben oltre la semplice vendita di un immobile o di un evento contingente.

Foto di copertina: Ho visto cose che voi umani… è una frase derivata dal monologo pronunciato in punto di morte dal replicante Roy Batty nel film di fantascienza Blade Runner.