Sergey Brin, co-fondatore di Google, è ancora uno dei due uomini che controllano il colosso tecnologico. L’ultima volta che qualcuno ha dato un’occhiata ai numeri, Brin deteneva una quota di voto del 25%, mentre Larry Page ne aveva persino di più. Quindi, se Brin è convinto che il team Gemini dovrebbe lavorare più ore e tornare in ufficio ogni giorno, come riportato dal New York Times, perché non lo ordina e basta? Qual è il punto di lanciare suggerimenti vaghi invece di imporre una direttiva chiara?

La versione ufficiale di Google, ovviamente, è diversa: secondo un portavoce, la politica aziendale non è cambiata e il lavoro in presenza resta fissato a tre giorni a settimana. Forse Brin stava solo cercando di “motivare” il team Gemini, il reparto più sotto pressione in Google, ripetendo la sua vecchia convinzione che 60 ore settimanali siano il “punto ottimale” della produttività. D’altra parte, lo aveva già detto nel 2016. Ma se crede davvero in questa teoria, perché non la impone? O forse la sua esitazione è proprio il sintomo del problema di Google?

Negli ultimi due anni, Sergey Brin è tornato attivamente a influenzare Google, e questa settimana ha inviato un messaggio chiaro ai dipendenti della divisione DeepMind AI, nota come GDM: la corsa verso l’Intelligenza Artificiale Generale (AGI) è ufficialmente iniziata. Il co-fondatore di Google ha espresso l’urgenza di accelerare gli sforzi, sottolineando che la competizione nel settore è diventata feroce e che Google deve rispondere con maggiore determinazione.

Nel suo messaggio, Brin ha evidenziato che Google possiede tutti gli elementi necessari per vincere questa sfida, ma che sarà essenziale “turbo-caricare” gli sforzi. Ha sottolineato come il codice sia la chiave per il successo nell’AGI, dichiarando che il vero punto di svolta avverrà quando l’IA sarà in grado di migliorare sé stessa autonomamente. Tuttavia, nelle fasi iniziali sarà ancora necessaria una forte supervisione umana, motivo per cui l’efficienza del codice e il livello di competenza dei ricercatori AI di Google dovranno essere massimi.

Un aspetto controverso del suo messaggio riguarda la produttività. Secondo Brin, il punto ottimale di rendimento per un ingegnere è lavorare circa 60 ore settimanali. Ha sottolineato che chi lavora meno può diventare un peso per il team, riducendo il morale generale. Inoltre, ha spinto per un ritorno massiccio in ufficio, sostenendo che la collaborazione fisica è essenziale per l’innovazione.

Ma il punto più significativo del suo discorso riguarda la direzione che Google deve prendere con i suoi prodotti AI. Brin ha criticato il numero eccessivo di filtri e limitazioni implementati nei sistemi di Gemini, affermando che l’azienda dovrebbe “fidarsi degli utenti” piuttosto che continuare a costruire prodotti iper-controllati. Questa posizione è significativa, soprattutto considerando che Gemini è attualmente uno dei modelli AI più avanzati e che il dibattito sulle limitazioni e sui controlli etici dell’IA è più acceso che mai.

Il fatto che questo messaggio provenga da Brin e non da Demis Hassabis, CEO di Google DeepMind, suggerisce una crescente influenza diretta dei fondatori nel determinare la strategia AI dell’azienda. Questo potrebbe segnare un cambio di rotta verso un approccio più aggressivo nella corsa all’AGI, con un’attenzione particolare alla rapidità di sviluppo e all’efficienza del codice piuttosto che alle precauzioni etiche.

L’ironia della situazione non è sfuggita agli osservatori: Brin, che insieme a Larry Page si è allontanato da Google nel 2019 lasciando l’azienda apparentemente senza una guida chiara proprio mentre il boom dell’IA prendeva piede, ora sta spingendo per un impegno estremo da parte dei dipendenti. La sua visione sembra essere quella di una Google che opera senza freni nella ricerca dell’AGI, un obiettivo che potrebbe ridefinire il futuro della tecnologia e della società.

Brin, con la sua posizione privilegiata e il suo peso azionario, potrebbe cambiare le cose dall’oggi al domani. Eppure non lo fa. Questo immobilismo è una delle ragioni per cui Gemini fatica a competere nel mercato dell’intelligenza artificiale? Sicuramente non è l’unico fattore, ma il caos interno non aiuta. Le fratture che complicano gli sforzi AI di Google, dimostrando quanto sia difficile per un colosso del genere muoversi con decisione verso un obiettivo chiaro.

Queste divisioni si riflettono anche nei prodotti: basta guardare il Google Pixel 9. Devo scegliere tra Google Assistant e Gemini, ma a seconda di come formulo una domanda, è ancora Assistant a rispondere, spesso in modo meno efficace rispetto a Gemini.

Un’esperienza frammentata e confusa, il riflesso perfetto di un’azienda che fatica a coordinarsi.

Tutte le grandi aziende hanno conflitti interni, certo. Ma quelle guidate da leader decisi si muovono rapidamente, come dimostrano Elon Musk e Mark Zuckerberg. Google ha il vantaggio di avere Brin e Page con un controllo quasi assoluto. Il problema è che non sembrano volerlo esercitare