Ricordate quando i videogiochi erano fatti da esseri umani con idee geniali, mani sudate sui controller e notti insonni davanti ai monitor? Bene, Microsoft vuole cambiare tutto questo con Muse, il suo nuovo modello di intelligenza artificiale “generativa” pensato per creare parti di giochi. Secondo Redmond, Muse potrebbe addirittura preservare e migliorare i classici del passato, rendendoli compatibili con l’hardware moderno. L’ennesimo passo verso un futuro in cui l’IA si impossessa anche della creatività?

Muse non è solo un’IA che si limita a fare qualche trucchetto grafico: è un modello in grado di comprendere un mondo di gioco in 3D, interpretarne la fisica e reagire alle azioni del giocatore. Un passo da gigante rispetto agli algoritmi tradizionali, ma anche un enorme punto interrogativo per l’industria.

“La nostra IA può generare ambienti di gioco coerenti e diversificati, rendendo più semplice il lavoro degli sviluppatori,” dichiara Fatima Kardar, corporate vice president di gaming AI di Microsoft. Traduzione: meno lavoro manuale per gli sviluppatori, più automazione e – perché no? – più margini di profitto per chi controlla la tecnologia.

Muse è stato addestrato con un’enorme quantità di dati raccolti da sessioni di gioco umane, grazie a una collaborazione con Ninja Theory, il team dietro Bleeding Edge. In pratica, ha assimilato sette anni di gameplay, macinando un miliardo di coppie immagine-azione. Il risultato? Un modello capace di generare grafica di gioco, per ora limitata alla risoluzione di 300×180 pixel. Un passo avanti rispetto ai 128×128 dei precedenti esperimenti Microsoft, ma ancora lontano dai 1080p standard per i giocatori su PC.

Il messaggio ufficiale è chiaro: Muse non vuole sostituire gli sviluppatori, ma solo “aiutarli”. Microsoft promette che questa IA non sarà usata per creare giochi interi, bensì per assistere nelle fasi iniziali dello sviluppo o per aggiungere nuove esperienze AI-driven. Ma quante volte abbiamo già sentito questa storia?

Phil Spencer, capo della divisione Gaming di Microsoft, ha anche lanciato un’idea che farà drizzare le orecchie ai nostalgici: Muse potrebbe imparare dai vecchi giochi e renderli compatibili con le piattaforme moderne senza bisogno del codice originale. Un sogno per la conservazione videoludica, certo, ma anche un modo per aggirare il problema dei diritti e rivendere vecchi titoli in una nuova veste. Per pura passione storica, ovviamente.

In tutto questo, resta la grande domanda: quanto spazio resterà alla creatività umana? Il settore del gaming è già martoriato da licenziamenti continui – solo nel 2024, un decimo degli sviluppatori ha perso il lavoro. È quindi legittimo che molti temano che strumenti come Muse siano solo l’inizio di una sostituzione sistematica della manodopera qualificata con un generatore automatico di contenuti.

Ninja Theory, lo studio che ha aiutato Microsoft nell’addestramento di Muse, prova a rassicurare tutti: “Non useremo questa tecnologia per creare contenuti al posto degli sviluppatori,” afferma il capo studio Dom Matthews. “Vogliamo solo velocizzare il lavoro per permettere ai nostri talenti di concentrarsi sulla creatività umana.” Un’affermazione nobile, ma che sembra già il preludio a un futuro in cui il confine tra creatività e automazione sarà sempre più sottile.

Microsoft, per ora, lascia la decisione sull’uso dell’IA ai singoli studi Xbox, dichiarando che ogni team potrà adottarla in base alla propria visione creativa. Ma la direzione è segnata: l’IA sta entrando sempre più nei videogiochi, e una volta aperto il vaso di Pandora, richiuderlo sarà impossibile.