In un’epoca in cui la potenza computazionale sembra diventare la nuova valuta del successo, l’idea di un’AI “frugale” come Vitruvian si presenta come la risposta a una domanda che nessuno si era mai posto: è possibile essere innovativi senza sacrificare il pianeta ? Con un sorriso amaro, il continuo sviluppo di modelli linguistici complessi ha trasformato l’energia in un lusso quasi elitario, spingendo il settore o almeno alcuni a interrogarsi sulle proprie priorità etiche e ambientali.
Nel cuore dell’Europa, dove la sostenibilità non è solo un mantra ma una legge scritta a colpi di GDPR e EU AI Act, il team dietro Vitruvian ha deciso di puntare tutto su un approccio che preferisce la logica formale alla statistica massacrante. Sì, perché secondo loro, non serve una valanga di parametri per far “ragionare” un algoritmo: basta emulare quel misterioso processo del pensiero umano, riducendolo a mere regole formali. Un concetto affascinante e, allo stesso tempo, ironico, visto che l’umano ragionamento è noto per essere tutt’altro che lineare e prevedibile.
La fase di test di Vitruvian non è stata meno avventurosa. Immaginate una prima ondata di 500 alpha tester, ma quanti rimborsi spese per ASC27, esperti in ambiti come medicina, finanza e giurisprudenza, pronti a mettere a dura prova un modello che si autodefinisce “efficiente” e “sostenibile”.
Poi, per non lasciare spazio a dubbi, la folla o dovrei dire la follia si è fatta avanti con ben 5.000 beta tester, quasi a voler dimostrare che l’esperienza utente poteva essere raffinata fino a un livello che persino un algoritmo “frugale” poteva gestire. Un processo di validazione che, tra un feedback e l’altro, lascia intravedere un robusto potenziale, anche se la retorica non può nascondere le insidie di un sistema che, per sua stessa natura, si pone dei limiti.
L’annuncio della Public Beta appare quindi come il momento clou, magistralmente orchestrato a livello comunicativo da Nicola Grandis: un’occasione per far emergere, in una sorta di “spoglio digitale”, tutte le virtù e le possibili carenze del modello. Sarà interessante vedere come Vitruvian affronterà scenari imprevedibili, domande fuori dagli schemi e, perché no, qualche imprevisto che lo costringerà a rivedere la sua ambizione di “pensare” come un essere umano.
Un approccio aperto e iterativo che, in teoria, dovrebbe favorire un miglioramento continuo grazie al contributo della comunità degli utenti, ma che, in un contesto ironico, ci fa riflettere: quanti tester bastano davvero per addolcire l’amaro sapore di un’innovazione che sfida le leggi della fisica computazionale?
Eppure, non mancano le ombre nel quadro: la scelta di un modello meno assetato di risorse potrebbe benissimo tradursi in una capacità limitata di generare un linguaggio naturale davvero fluido e creativo.
In un mondo dove la spontaneità e l’ambiguità sono all’ordine del giorno, affidarsi a una logica rigida rischia di trasformare l’AI in un ingegnere preciso, ma privo di quel tocco poetico che spesso fa la differenza. Inoltre, mentre il modello base si vanta di operare con soli 8GB di VRAM un vero e proprio capolavoro di efficienzale versioni future, dalle più modeste alle “XXL”, potrebbero dover fare i conti con la dura realtà di un aumento esponenziale delle risorse necessarie, mettendo così alla prova l’equilibrio tra potenza e sostenibilità.
In un panorama dominato da giganti che puntano tutto sulla statistica e sui dataset smisurati, tanto pagherà il fondo d’investimento di turno, Vitruvian si propone come la speranza per l’industria AI europea, un segnale che forse, solo forse, si può innovare rispettando normative stringenti e, al contempo, prendersi cura dell’ambiente.
L’approccio, seppur intriso di un certo sapore di idealismo, alla Enzo Ferrari, lascia comunque intravedere quella consapevolezza che il mercato internazionale ha spesso trascurato, soprattutto quando si tratta di dare spazio all’italiano. Con il 75% dell’addestramento in lingua nostra direbbe il Vate, il modello si rivolge non solo a un pubblico locale ma a un’intera area che si è a lungo sentita esclusa dall’olimpo degli algoritmi anglofoni.
Vitruvian, quindi, non è semplicemente una nuova AI, ma un esperimento ambizioso nel tentativo di ridefinire cosa significhi “intelligenza” in un contesto digitale. Un equilibrio delicato tra potenza computazionale e sostenibilità, condito da un pizzico di cinismo e da un’ironia che solo il mondo tech sa regalare, nel quale ogni promessa di performance elevata è accompagnata dalla consapevolezza delle sfide future.
Vitruvian continua ad essere, forse, l’ultimo vanto dell’innovazione europea, un capolavoro del nostro ingegno tecnologico e della nostra capacità imprenditoriale, con una genesi artigianale quasi mitica che richiama la leggenda di quei pionieri digitali che hanno osato reinventare l’intelligenza artificiale in chiave sostenibile