Immagina di accedere a Google o YouTube e subito il sistema ti osserva con l’occhio clinico di un esperto in dati e privacy, pronto a giudicare la tua età, non sulla base di un semplice clic, ma analizzando attentamente il tuo comportamento online. A quanto pare, Google ha deciso di farsi un’idea di quanti anni hai senza chiedere la tua opinione, usando un sofisticato algoritmo di machine learning per stimare l’età degli utenti.

Questa “innovazione” è stata svelata dal CEO di YouTube, Neal Mohan, in una lettera annuale rilasciata martedì scorso, dove l’azienda ha annunciato che testerà questa tecnologia negli Stati Uniti. La missione dichiarata è chiara: garantire “esperienze più adatte all’età” su tutte le piattaforme Google. Ma, veramente, quanto possiamo fidarci di una macchina che decide quanto vecchio siamo sulla base dei video che guardiamo o dei siti che visitiamo?

L’intelligenza artificiale, naturalmente, non si limita ad analizzare i tuoi dati, ma è pronta anche a notificarti che “qualcosa” nel tuo account è cambiato. Se l’algoritmo determinerà che hai meno di 18 anni, il sistema modificherà alcune impostazioni e ti chiederà, con l’eleganza di un assistente virtuale, di verificare la tua età tramite selfie, carta di credito o documento d’identità. Niente di troppo invadente, vero? Un piccolo tocco di sorveglianza per farti sentire sicuro… e un po’ sorvegliato.

E se pensavi che il solo pensiero di una macchina che ti giudica basandosi sulle tue abitudini digitali fosse inquietante, ecco che Google rincara la dose, applicando il filtro SafeSearch per rimuovere contenuti espliciti dalla ricerca e restringendo l’accesso a video di YouTube che potrebbero non essere appropriati per chi è sotto i 18 anni. La buona notizia? Se hai mai avuto il desiderio di scomparire nel vasto mare della rete, ora potresti farlo più facilmente, grazie alla tecnologia che sa di te più di quanto immagini.

Google, naturalmente, non si fermerà qui, promettendo di estendere la sua stima dell’età in altri paesi nei mesi a venire. Si tratta di una mossa che potrebbe sembrare una “protezione” per i minori, ma solleva anche domande su quanto vogliamo che un algoritmo sappia di noi e come questa conoscenza possa influenzare le nostre esperienze online.

In questo mondo dove la privacy sembra un lusso e la sicurezza una necessità, la domanda rimane: quanto siamo pronti a cedere?