Elon Musk è come un supereroe in pensione che non riesce a stare lontano dai guai. Mentre la gente normale lotta per rispondere alle e-mail senza dimenticare le Goggiole mascarpone e cioccolata nel microonde, lui riesce a gestire Tesla, SpaceX, una crociata pro-DOGE per abbattere i costi della campagna di Trump e, come ciliegina sulla torta, un’offerta da 97,4 miliardi di dollari per impossessarsi delle attività di OpenAI. Il Wall Street Journal ha lanciato la bomba, e il mondo della tecnologia ha trattenuto il fiato: Musk sta cercando di prendersi tutto, di nuovo.

C’è da ammirare la finezza strategica. Un tempo Musk era il generoso benefattore di OpenAI, una non-profit con l’ambiziosa missione di garantire che l’intelligenza artificiale non finisse nelle mani sbagliate (ironico, vero?). Poi OpenAI ha deciso di convertirsi in un’entità a scopo di lucro, e Musk si è sentito tradito. Invece di accettare la sconfitta, ha optato per la sua arma preferita: l’aula di tribunale. La sua battaglia con Sam Altman sembrava destinata a un triste epilogo la scorsa settimana, quando un giudice californiano ha fatto capire che difficilmente avrebbe bloccato la conversione. Ma ecco il colpo di scena: invece di piagnucolare, Musk ha risposto con una mossa magistrale.

Il suo nuovo piano è un perfetto mix di logica e sfacciataggine. Punta dritto a una falla nel processo di conversione: cosa ci guadagna davvero la non-profit? Dopo la metamorfosi, la OpenAI originale conserverebbe solo una quota di minoranza del 25% nell’entità commerciale, che oggi è valutata circa 65 miliardi di dollari. Un affare pessimo, secondo Musk e il suo avvocato Marc Toberoff, che con un’abilità degna di un venditore di aspirapolvere ha riassunto la situazione con una domanda tagliente: “Chi diavolo farebbe uno scambio del genere?”.

Ovviamente, la realtà è più sfumata. Toberoff dimentica di menzionare il piccolo dettaglio di Microsoft, che ha già in tasca i diritti su 100 miliardi di dollari di profitti futuri di OpenAI. Questo ridimensiona parecchio il valore dell’azienda e complica qualsiasi tentativo di valutazione. Inoltre, il modo in cui l’accordo con Microsoft verrà rinegoziato dopo la conversione è ancora un mistero. Insomma, non è tutto bianco o nero, anche se Musk vorrebbe far credere il contrario.

La risposta di Sam Altman è stata degna di un troll di alto livello. Su Twitter, ha liquidato l’offerta con un secco “no grazie” e ha rincarato la dose con una battuta perfida: “Ma se vuoi, compriamo Twitter per 9,74 miliardi di dollari”. Una chiara frecciata al fatto che Musk ha speso 44 miliardi per Twitter, solo per trasformarlo in un esperimento sociale discutibile.

Ma attenzione: non è detto che la OpenAI originale possa semplicemente ignorare l’offerta di Musk. Per legge, deve vendere i propri asset a un prezzo equo di mercato. Quindi, anche se nessuno vuole veramente vendere, la proposta di Musk potrebbe creare non pochi grattacapi e costringere OpenAI a rivedere la sua strategia.

E poi c’è TikTok. Il weekend ha rivelato che c’è un limite anche all’onnipotenza di Musk: il suo appetito imprenditoriale non include il social network cinese. Durante un intervento in Germania, ha detto chiaramente di non aver fatto un’offerta e di “non essere impaziente di acquisirla”. Un raro momento di autoconsapevolezza, visto che l’unica azienda che Musk ha effettivamente comprato – Twitter – si è rivelata una delle sue scommesse più discutibili.

Con Musk fuori dai giochi, restano ancora parecchi contendenti per TikTok. Microsoft? Oracle? Amazon? Il Wall Street Journal suggerisce che anche il colosso dell’e-commerce potrebbe essere interessato. La partita è ancora aperta, ma almeno sappiamo che una pedina ingombrante ha deciso di non muoversi.

Nel frattempo, Musk continua a dimostrare che per lui il business non è solo un lavoro: è una partita a scacchi in cui non esiste la parola “scacco matto”, perché finché è lui a giocare, il gioco non finisce mai.