Per comprendere DeepSeek e, più in generale, la strategia cinese sull’intelligenza artificiale, dobbiamo adottare una prospettiva coerente con la storia politica e culturale della Cina, piuttosto che filtrarla attraverso il paradigma occidentale.
La Cina non considera la tecnologia come un’entità indipendente o neutrale, ma come uno strumento strategico per il rafforzamento nazionale. Il concetto di “controllo tecnologico come sovranità” è profondamente radicato nella visione del Partito Comunista Cinese (PCC), che da decenni sviluppa politiche industriali mirate a ridurre la dipendenza dal know-how occidentale e a costruire un ecosistema autonomo di innovazione.
DeepSeek non è solo una startup di intelligenza artificiale, ma parte di un sistema più ampio in cui il governo guida, incentiva e, se necessario, indirizza lo sviluppo tecnologico per scopi strategici. Questo è un approccio molto diverso da quello occidentale, dove l’innovazione nasce spesso in ambienti privati con una logica di mercato più fluida e competitiva. In Cina, l’IA non è vista solo come un’opportunità economica, ma come uno strumento di governance, sicurezza e proiezione di potenza globale.
Dal punto di vista occidentale, l’idea che un governo possa avere un controllo così pervasivo sulla tecnologia è spesso percepita come una minaccia o un’anomalia. Tuttavia, per la Cina, questa visione non è né nuova né innaturale. La storia cinese è caratterizzata da un’idea di Stato forte, che guida lo sviluppo in modo coordinato e di lungo termine, a differenza del modello frammentato occidentale, che si affida maggiormente al libero mercato e all’iniziativa privata.
Se osserviamo DeepSeek con gli occhi della Cina, vediamo un tassello di una strategia più ampia che include il piano Made in China 2025, gli investimenti governativi nelle tecnologie emergenti e la creazione di una supply chain indipendente per semiconduttori e intelligenza artificiale. Questa visione non si basa su una corsa alla leadership tecnologica fine a sé stessa, ma sulla convinzione che il dominio nell’IA sia essenziale per consolidare il modello politico cinese e garantirne la sicurezza futura.
Il confronto con OpenAI e gli Stati Uniti, quindi, non può essere analizzato solo in termini di competizione economica o tecnologica, ma va letto all’interno della competizione tra modelli politici ed economici differenti. L’errore dell’Occidente sarebbe quello di interpretare DeepSeek e le altre iniziative cinesi come semplici controparti delle aziende della Silicon Valley, senza considerare il ruolo che giocano nella strategia geopolitica della Cina.
Il XX secolo ha visto il confronto tra due visioni radicalmente opposte del mondo: da un lato, il materialismo dialettico marxista-leninista, ereditato dal pensiero di Engels e trasformato dal regime stalinista in una dottrina ufficiale della scienza sovietica, e dall’altro, le rivoluzioni concettuali della meccanica quantistica e della relatività. Questo scontro non fu solo teorico, ma si tradusse in una repressione sistematica della fisica teorica nell’Unione Sovietica, con gravi ripercussioni sullo sviluppo scientifico.
Andrei Zdanov, il principale ideologo di Stalin, era il custode dell’allineamento politico della cultura e della scienza, con il potere di purgare la scienza sovietica dalle idee pericolose.
Oggi, possiamo osservare un’analogia tra questa tensione ideologica e il modo in cui le nazioni, come gli Stati Uniti e la Cina, stanno plasmando le strategie legate all’intelligenza artificiale, con un confronto tra modelli aperti e chiusi, tra controllo centralizzato e innovazione emergente.
Il materialismo dialettico, nel contesto sovietico, era considerato una legge oggettiva della realtà, deterministica e priva di spazio per l’indeterminazione quantistica o il relativismo einsteiniano. La scienza, sotto Stalin, doveva servire la costruzione del socialismo e non poteva ammettere concetti che potessero essere interpretati come incompatibili con la visione ufficiale. Questo portò a un ostracismo nei confronti di teorie come la meccanica quantistica, giudicata “idealista” perché basata sulla probabilità e sulla non-determinazione, in contrasto con il rigido determinismo storico e scientifico della dottrina sovietica. Il celebre fisico Lev Landau fu perseguitato, mentre scienziati come Boris Hessen cercarono di conciliare la fisica moderna con il marxismo, senza successo.
Lo stesso conflitto tra apertura e controllo si riflette oggi nel mondo dell’intelligenza artificiale. OpenAI, nata con la missione di sviluppare un’IA trasparente e benefica per l’umanità, si trova in una posizione complessa tra l’apertura iniziale e la necessità di protezione dei suoi modelli. Il passaggio dalla totale apertura dei modelli GPT a un approccio più restrittivo riflette un dilemma simile a quello vissuto dagli scienziati sotto il regime sovietico: quanto può essere libero un paradigma scientifico quando è in gioco la sicurezza o la leadership geopolitica?
Dall’altra parte, la Cina adotta un modello ancora più centralizzato e controllato per lo sviluppo dell’IA, con aziende come DeepSeek e istituzioni governative che operano in sinergia per garantire che la tecnologia serva gli interessi dello Stato. La strategia cinese assomiglia, in un certo senso, alla visione sovietica della scienza: lo Stato stabilisce i confini epistemologici e operativi, decidendo cosa può essere sviluppato e in quale direzione. Tuttavia, a differenza dell’URSS, la Cina comprende il valore dell’IA per il dominio economico e militare e investe massicciamente senza reprimere lo sviluppo tecnologico, purché rimanga sotto controllo.
Gli Stati Uniti, pur difendendo un approccio più aperto e competitivo, stanno progressivamente adottando misure protezionistiche per impedire alla Cina di accedere alle tecnologie più avanzate. Il blocco sulle esportazioni di chip avanzati e la restrizione della collaborazione tra istituti di ricerca occidentali e cinesi ricordano le dinamiche della Guerra Fredda, con un ritorno al concetto di “controllo ideologico” della scienza, anche se questa volta sotto la forma di restrizioni tecnologiche e commerciali.
Il punto cruciale di questo parallelismo sta nel ruolo dell’incertezza e della complessità. Così come il materialismo dialettico non poteva accettare l’indeterminazione quantistica, oggi i governi e le aziende cercano di ridurre l’incertezza nello sviluppo dell’IA, imponendo limiti e regolamenti. Tuttavia, proprio come la fisica quantistica si è rivelata essenziale per il progresso tecnologico, un’eccessiva regolamentazione dell’IA potrebbe soffocare l’innovazione. Il dilemma tra apertura e sicurezza, tra libertà scientifica e controllo statale, è lo stesso che ha caratterizzato il rapporto tra il potere politico e la scienza nel XX secolo.
Se la storia ha insegnato qualcosa, è che le scienze più rivoluzionarie trovano sempre un modo per emergere, indipendentemente dai vincoli ideologici. La domanda è se l’IA seguirà il percorso della meccanica quantistica, imponendosi come un paradigma inarrestabile, o se le nazioni riusciranno a costruire nuovi “lisenkismi digitali” per plasmarla secondo i propri obiettivi geopolitici.