A novembre, la virologa Beata Halassy ha rivelato al mondo di aver sconfitto il suo cancro al seno grazie a un trattamento sviluppato all’interno di un laboratorio sotto la sua supervisione. Secondo quanto dichiarato, il trattamento l’avrebbe liberata dalla malattia per oltre quattro anni, suscitando un’ondata di ammirazione nella comunità medica.
Halassy ha documentato questa straordinaria esperienza in un articolo pubblicato ad agosto 2024 sulla rivista scientifica “Vaccines”. I suoi risultati sono impressionanti: l’iniezione dei virus ha portato alla remissione quasi completa del cancro, con pochissimi effetti collaterali, e da allora è rimasta libera da malattia per più di quattro anni. Questo tipo di trattamento virale, noto come terapia oncolitica virale (OVT), utilizza virus modificati per attaccare specificamente le cellule tumorali, un approccio che rappresenta una sfida alla medicina convenzionale.
Tuttavia, dietro la sua dichiarazione si nascondono numerose polemiche, in particolare sul rischio che tale pubblicità possa indurre altri pazienti a rinunciare ai trattamenti convenzionali. Un bell’articolo sul Washington Post ci ha raccontato tutti i dettagli.
La scoperta ha, infatti, sollevato preoccupazioni tra alcuni bioeticisti. Questi esperti temono che l’eccessiva esposizione mediatica alla vicenda di Halassy possa influenzare negativamente la percezione della medicina tradizionale e incentivare il ricorso a terapie non testate, mettendo in pericolo la vita di chi, privo della competenza necessaria, potrebbe decidere di intraprendere strade non sicure.
La decisione di Halassy di diventare soggetto del suo stesso esperimento ha sollevato interrogativi etici e scientifici. Gli esperti di bioetica sono divisi: da un lato, alcuni sostengono che l’auto-sperimentazione non sia intrinsecamente non etica, ma potrebbe essere imprudente a causa delle aspettative irrealistiche del ricercatore che è anche paziente. Dall’altro lato, c’è chi teme che pubblicizzare casi come quello di Halassy possa incoraggiare pazienti meno qualificati a tentare esperimenti rischiosi, senza avere le competenze necessarie per farlo in sicurezza. La comunità scientifica rimane scettica anche riguardo la validità del suo esperimento: uno studio su un solo paziente, infatti, non è sufficiente per trarre conclusioni robuste sull’efficacia di un trattamento.
Nonostante ciò, l’esperimento di Halassy getta luce su una potenziale via alternativa alla chemioterapia tradizionale. La Food and Drug Administration (FDA) ha approvato il trattamento con virus oncolitici nel 2015 per il trattamento del cancro della pelle, ma le ricerche successive si sono concentrate sulla sua applicazione in altre tipologie di tumori. Sebbene l’OVT stia guadagnando terreno, gli studi clinici spesso non riescono a superare la fase iniziale a causa della difficoltà di reclutare pazienti idonei che non siano già stati gravemente compromessi da trattamenti tradizionali.
Halassy era in una posizione unica per testare un trattamento innovativo: il suo cancro era in remissione dal 2016, e non era stata sottoposta a chemioterapia da anni. Inoltre, la sua esperienza professionale come virologa le ha permesso di preparare e somministrare i virus in modo sicuro, sotto il controllo dei suoi colleghi. Il trattamento è stato effettuato in sei settimane, durante le quali il tumore ha mostrato segni di riduzione significativa, con un effetto collaterale principale rappresentato solo da una leggera febbre.
Il fatto che Halassy abbia scelto di condurre il trattamento senza una revisione da parte di un comitato etico è stato un altro punto di discussione. Nella sua pubblicazione, lei stessa ha ammesso che l’esperimento era “isolato”, ma ha sottolineato che il suo caso potrebbe stimolare ulteriori studi clinici sulla terapia con virus oncolitici, soprattutto nelle fasi iniziali del cancro. Tuttavia, i bioeticisti sono preoccupati che un caso isolato come il suo non possa fornire evidenze sufficienti per orientare le pratiche mediche generali.
La sua esperienza si inserisce in una tradizione storica di auto-sperimentazione che ha visto, nel corso dei secoli, ricercatori e medici mettere a rischio la propria vita in nome della scienza. Tuttavia, mentre alcune di queste esperimentazioni hanno portato a scoperte fondamentali, altre hanno avuto esiti tragici. Jesse Lazear, un medico statunitense del XIX secolo, è morto a causa della febbre gialla dopo essersi fatto mordere da una zanzara per dimostrare la modalità di trasmissione della malattia. Un altro esempio è quello di Daniel Carrión, uno studente peruviano che morì dopo essersi infettato con la malattia che in seguito prese il suo nome.
Nel caso di Halassy, il rischio sembrava minimo rispetto a questi tragici episodi, ma rimane il dubbio sulla sua capacità di prendere una decisione del tutto imparziale come ricercatrice e paziente allo stesso tempo. La mancanza di oggettività in un caso del genere è una delle critiche principali che gli esperti hanno sollevato nei confronti della sua scelta. Halassy stessa ha ammesso che il suo caso fosse unico, ma ha anche sottolineato l’importanza di stimolare la ricerca sulla terapia virale contro il cancro, soprattutto nei pazienti nelle prime fasi della malattia.
La sua esperienza, pur rimanendo un esempio atipico e controverso, potrebbe rappresentare un passo importante verso nuove soluzioni per il trattamento del cancro, spingendo la comunità scientifica a considerare con maggiore serietà l’uso delle terapie virali. Ma la domanda fondamentale rimane: è giusto, e sicuro, che un medico si faccia soggetto del proprio esperimento? Halassy ha risposto, in un certo senso, con la sua stessa vita.
La sua esperienza, pur rimanendo un esempio atipico e controverso, potrebbe rappresentare un passo importante verso nuove soluzioni per il trattamento del cancro, spingendo la comunità scientifica a considerare con maggiore serietà l’uso delle terapie virali. Ma la domanda fondamentale rimane: è giusto, e sicuro, che un medico si faccia soggetto del proprio esperimento? Halassy ha risposto, in un certo senso, con la sua stessa vita.
È in questo contesto che la scoperta della virologa ha attirato l’attenzione di personaggi influenti, come Jim O’Neill, un investitore nel settore biotech, che ha prontamente risposto alle critiche con una visione decisamente provocatoria.
O’Neill, noto per essere un protetto di Peter Thiel, ha risposto alle critiche in maniera schietta e decisamente fuori dalle righe. Con un tweet carico di disprezzo, ha affermato che “le persone che ritengono immorale curare il cancro, ma considerano obbligatori i vaccini, sono completamente fuori strada“. Un’affermazione che non solo riflette una visione radicale sulla medicina moderna, ma che si inserisce in un dibattito più ampio sulla libertà di scelta individuale in ambito sanitario.
Un fatto che ha attirato l’attenzione di molti osservatori è il parallelo tra lo slogan di O’Neill e quello utilizzato da Robert F. Kennedy Jr. durante la sua campagna per la guida del Department of Health and Human Services. Un’agenzia che include al suo interno enti vitali come la Food and Drug Administration (FDA) e i Centers for Disease Control and Prevention (CDC). La posizione di Kennedy, da sempre critico nei confronti delle politiche sanitarie convenzionali, sembra trovare un alleato in O’Neill, con il quale è molto probabile che, a breve, si unisca formalmente in un movimento che sfida la medicina tradizionale.
La connessione tra O’Neill, Halassy e Kennedy getta una luce interessante sulla crescente tendenza di alcuni settori dell’industria biotech e delle figure politiche ad abbracciare visioni alternative sulla salute pubblica, mettendo in discussione i trattamenti convenzionali e sollevando interrogativi sulle politiche sanitarie in vigore. Questo crescente movimento, seppur controverso, mette in evidenza il divario tra approcci scientifici consolidati e alternative che mirano a ridefinire il panorama della medicina moderna.