Amazon ha deciso di alzare la posta, e quando si tratta di giocare con i miliardi, Jeff Bezos potrebbe anche chiamarlo “poker d’azzardo con soldi altrui”. Andy Jassy, l’uomo che ha ereditato il regno del cloud commerciale più grande del mondo, ha praticamente annunciato che quest’anno la sua azienda si concederà uno shopping sfrenato da 100 miliardi di dollari in spese in conto capitale. Tanto per mettere in chiaro le proporzioni: è un aumento del 29% rispetto al 2024 e un bel 20-25 miliardi in più di quanto i suoi rivali Microsoft e Google abbiano in mente di spendere.

E dove finiranno questi miliardi? Ma nell’Intelligenza Artificiale, ovviamente. Perché se non butti soldi in AI nel 2025, stai praticamente ammettendo di essere un fossile digitale. AWS, la gallina dalle uova d’oro di Amazon, sarà la principale beneficiaria di questa pioggia di denaro.

Se qualcuno aveva ancora l’illusione che il successo dei cinesi di DeepSeek nello sviluppo di modelli AI low-cost potesse indurre le big tech americane a tirare i remi in barca sugli investimenti, è ora di svegliarsi. Quando gli hanno chiesto di DeepSeek, Jassy ha riciclato la stessa identica risposta data pochi giorni fa dai suoi colleghi di Microsoft e Google, Satya Nadella e Sundar Pichai. Il concetto? Se la tecnologia diventa più economica, non è che si spende di meno, si trova solo una scusa migliore per spendere di più.

“Le aziende spenderanno meno per unità di infrastruttura… ma poi si entusiasmeranno per tutto ciò che potranno costruire e finiranno per spendere molto di più in totale”, ha detto Jassy. Traduzione: vendiamo il sogno dell’AI e loro continueranno a buttarci dentro soldi. Un pensiero che Pichai ha già messo in chiaro: chi investe oggi avrà la capacità di “cogliere il momento”. Un mantra che suona più come un invito a una scommessa alla roulette che a una strategia aziendale.

Ovviamente, questa strana sincronia tra le big tech nel giustificare la loro ubriacatura di investimenti alimenterà le teorie di quelli come Lina Khan, l’ex presidente della Federal Trade Commission, convinta che queste aziende non competano affatto, ma si muovano come un cartello perfettamente coordinato. Ed è difficile darle torto. Ma d’altra parte, nessun CEO vuole essere ricordato come quello che ha lesinato sugli investimenti proprio quando l’AI stava per esplodere. Meglio rischiare di esagerare che essere tagliati fuori.

Mentre il mondo degli affari si strappa i capelli per la prospettiva di nuove tariffe commerciali made in Trump, Amazon se ne sta beatamente impassibile. Parliamo di un’azienda che fa miliardi vendendo prodotti cinesi agli americani. Dovrebbe essere in preda al panico, giusto? E invece, nel corso della call sugli utili del quarto trimestre, nessuno ha nemmeno menzionato la parola “tariffe”.

Gli analisti, che evidentemente sanno già che è inutile agitarsi, si sono concentrati su temi più glamour: investimenti in AI, sviluppi nella robotica, logistica con UPS. Perché preoccuparsi delle tariffe, quando a pagarle saranno i venditori terzi? Ormai il 62% delle unità vendute su Amazon proviene da commercianti esterni. Se i dazi colpiscono, saranno loro a soffrirne. Amazon? Si limiterà a trasferire il costo sugli acquirenti, con qualche ritocco ai prezzi e un bel sorriso aziendale.

Walmart e Target, che devono gestire direttamente il loro inventario, si preparano a ricevere la mazzata. Amazon? Può tranquillamente restare a guardare dal suo trono, mentre tutti gli altri combattono con il problema. Perché alla fine, nel gioco del capitalismo, c’è sempre qualcuno che paga il conto. E Amazon si assicura che non sia mai lei.