Recap della settimana, il nuovo Maccartismo
Howard Lutnick, il candidato alla carica di Segretario del Commercio degli Stati Uniti, ha esordito davanti al Senato con una denuncia infuocata: DeepSeek avrebbe rubato tecnologia americana per spazzare via la concorrenza occidentale. “Hanno rubato, si sono introdotti, hanno preso la nostra proprietà intellettuale”, ha dichiarato con sdegno. Un’accusa che riflette la crescente paranoia americana nei confronti delle aziende cinesi, colpevoli – a quanto pare – di giocare sporco quando sono loro a vincere.
La Casa Bianca, prevedibilmente, ha cavalcato l’ondata di indignazione, valutando i rischi per la sicurezza nazionale. I giganti della Silicon Valley, terrorizzati dalla rivoluzione tecnologica scatenata da DeepSeek, hanno rapidamente dipinto l’azienda cinese come un’entità fraudolenta, intenta a sabotare il mercato con spregiudicate manovre di spionaggio industriale e dumping tecnologico.
Tutto è iniziato lunedì, quando DeepSeek ha svelato un modello AI avanzato che ha letteralmente umiliato i competitor occidentali, per di più a costi irrisori. Il giorno dopo, OpenAI ha insinuato che la startup cinese avesse usato una tecnica chiamata “distillazione” – che permette di estrarre informazioni da un modello esistente per addestrarne uno più efficiente – violando i loro termini di servizio. In altre parole, OpenAI ha accusato DeepSeek di avergli “succhiato il cervello”. E così è partita la crociata.
Tra i primi a soffiare sul fuoco c’è stato David Sacks, consigliere AI di Donald Trump, che ha dichiarato l’esistenza di “prove sostanziali” che confermerebbero l’uso improprio della tecnologia OpenAI da parte di DeepSeek. L’ipotesi è che il modello cinese abbia sfruttato conoscenze accumulate dagli americani senza pagarne il prezzo. Insomma, l’ennesima storia del furto di proprietà intellettuale che gli USA rispolverano ogni volta che qualcuno li supera nel loro stesso gioco.
Ma la vera tragedia si è consumata a Wall Street: DeepSeek ha scatenato un sell-off brutale che ha bruciato quasi 600 miliardi di dollari dalla capitalizzazione di Nvidia. Un massacro finanziario che ha fatto piangere gli azionisti e ha mandato in tilt il settore tecnologico americano. Troppo per rimanere indifferenti. Il miliardario Bill Ackman ha insinuato che DeepSeek abbia lanciato il suo modello gratuitamente con il solo scopo di shortare Nvidia e incassare una fortuna con le opzioni put. Un’accusa che avrebbe del clamoroso, se non fosse che le stesse speculazioni finanziarie sono pane quotidiano per le hedge fund americane.
Perfino il Pentagono è entrato in modalità panico. La Marina degli Stati Uniti ha inviato una direttiva interna per vietare l’uso di DeepSeek, sia per scopi lavorativi che personali. Il messaggio è chiaro: DeepSeek è il nuovo nemico pubblico numero uno della tecnologia occidentale. E, come da copione, anche le autorità europee si sono affrettate ad alzare la voce. L’Autorità per la Protezione dei Dati italiana ha concesso a DeepSeek 20 giorni per chiarire il trattamento dei dati personali, fingendo di ignorare che tutte le informazioni richieste siano già pubblicamente disponibili nella privacy policy dell’azienda.
Mentre i big dell’AI americana cercano disperatamente di arginare la minaccia, DeepSeek tace. Nessun commento, nessuna dichiarazione, solo il silenzio glaciale di chi sa di aver vinto. E il pubblico? Il pubblico si gode lo spettacolo. “Il karma è una stronza”, ha scritto il ricercatore AI Gary Marcus, sottolineando l’ipocrisia di OpenAI, che ora si lamenta della mancanza di consenso dopo aver addestrato i propri modelli su miliardi di dati rubati da giornalisti, scrittori e artisti senza permesso né compenso.
La lezione è semplice: quando sono gli americani a estrarre valore dai dati altrui senza pagare, è innovazione. Quando lo fa qualcun altro, è furto. DeepSeek ha solo messo in scena una vendetta tecnologica con effetti devastanti, e il vecchio establishment della Silicon Valley si ritrova a piangere lacrime di coccodrillo. Forse è davvero arrivato il momento per l’America di riscoprire il significato della parola “competizione”. Perché stavolta non basteranno le sanzioni per fermare la marea cinese.