Apple ha pubblicato i risultati del trimestre di dicembre, e come sempre c’è chi vede il bicchiere mezzo pieno e chi lo vede mezzo vuoto. Ma per un’azienda che vive di storytelling e numeri scintillanti, il problema è quando nel bicchiere ci sono più crepe che liquido.
Partiamo dalle note stonate: la Cina, che dovrebbe essere la miniera d’oro di Apple, ha deciso che forse è meglio tornare a scavare in casa propria. I ricavi nel Paese del Dragone si sono ridotti dell’11%, un segnale chiaro che il vento sta cambiando. Huawei e gli altri marchi locali, spinti da un’ondata di orgoglio nazionale e da una tecnologia che non ha nulla da invidiare, stanno erodendo la posizione dominante dell’iPhone. E se l’azienda di Cupertino si consola con un calo “solo” dello 0,8% nelle vendite globali di iPhone, è evidente che il problema cinese non è un mal di pancia passeggero, ma un’ulcera cronica.
Eppure, tra le ombre c’è chi continua a vedere il sole. Apple ha comunque registrato una crescita del 4% nel fatturato, grazie alla ripresa di Mac e iPad e soprattutto al business dei servizi, il vero salvagente di questi anni. Apple Music, Apple TV+ e AppleCare continuano a macinare soldi con la precisione di un orologio svizzero, dimostrando che quando non si può vendere un nuovo iPhone, si può sempre spremere di più quelli già venduti. L’utile netto è salito del 7% a 36,3 miliardi di dollari, e Wall Street ha reagito con un rassicurante +3% nelle contrattazioni after-hours. Insomma, per un’azienda in fase di maturità avanzata, il trimestre non è stato disastroso. Ma neanche da stappare lo champagne.
E qui arriva il problema vero: la Cina non è un semplice scivolone trimestrale, è una ferita che si allarga anno dopo anno. Nel 2024 i ricavi cinesi sono scesi del 7,7%, nel 2023 del 2,2%. Gli analisti possono anche giocare con le percentuali, ma il trend è evidente: i consumatori cinesi stanno lasciando Apple. IDC riporta che, sebbene l’iPhone abbia ancora la leadership di mercato in Cina, il distacco dal secondo classificato, Vivo, è passato da 4,3 punti percentuali a un misero 0,2. In pratica, un soffio.
E il futuro? Difficile immaginare una svolta miracolosa. Il patriottismo tecnologico cinese non è una moda passeggera, ma una politica economica ben radicata. Apple cerca di giocare la carta dell’intelligenza artificiale, ma in Cina è costretta a usare modelli sviluppati da aziende locali, con tutti i limiti che questo comporta. E il tanto atteso iPhone “slim” in arrivo potrebbe avere lo stesso appeal di un vestito firmato taroccato: carino, ma non abbastanza per giustificare il prezzo.
In definitiva, la Cina rischia di diventare il vero tallone d’Achille di Apple. I dati positivi sulle vendite globali sono come una bella facciata che nasconde crepe profonde. Tim Cook ha provato a rassicurare gli investitori, sottolineando che nelle regioni dove le nuove funzionalità AI sono disponibili le vendite vanno meglio. Bene, peccato che in Cina quelle funzionalità non possano arrivare come previsto.
E così, mentre Apple continua a raccogliere consensi tra gli affezionati, il mercato cinese sta preparando il conto. E quando un gigante come Apple inciampa, il tonfo si sente in tutto il mondo.