Esprime preoccupazione il presidente di Confindustria Emanuele Orsini quando si parla di prodizione industriale. Comprensibile, considerando che la produzione industriale in Italia è in calo ormai da 23 mesi (-2% nel 2023 e -2,8% nel 2024). Penso soprattutto all’automotive, dichiara in occasione di un evento tenutosi la settimana scorsa a Milano: “siamo arrivati 295mila macchina prodotte nel 2024, la cifra più bassa dal 1957”.

“L’auto è il primo prodotto del continente europeo” continua Orsini, “non si può metterlo fuori produzione, non si spegne una tecnologia per norma, ma perché è superata. Nel 2040 ci sarà ancora il 40% dei veicoli endotermici“.

Gli fa eco, per quanto riguarda la crisi del settore automotive, Luca De Meo, Ceo di Renault, secondo il quale il settore sta vivendo una delle più grandi trasformazioni della sua storia. “In Europa vale 13 milioni di posti di lavoro, ma in questi anni il cuore di questo settore si è spostato in Cina dove c’è ormai il 60% del mercato” dichiara De Meo, che ritiene ci siano due sfide al momento che le case debbono affrontare, “la prima l’auto elettrica che rimane comunque la prospettiva del futuro, la seconda il fatto che almeno fino al 2040 si continueranno a produrre auto a combustione” e, conclude De Meo, per recuperare il profondo gap con la Cina servono politiche di incentivi pubblici e, soprattutto, una riduzione del prezzo dell’energia. 

Bisogna recuperare competitività, ha insistito Orsini indicando il tema dell’energia come sfida fondamentale per l’Italia. “Nella mia azienda, a gennaio 2024 pagavo l’energia 100 euro a mwh, martedì l’ho pagata 142 euro, in una situazione in cui il costo è di 70 euro mwh in Francia, tra 83-86 in Spagna e 51 in Germania“.

Come possiamo essere attrattivi con queste differenze in Europa si chiede il Presidente di Confindustria rilanciando la necessità del nucleare. “Ci candidiamo a mettere le mini centrali di nuova generazione nelle nostre aziende se ci sono problemi con i sindaci” dichiara, precisando che l’industria va messa al centro delle politiche anche in Europa e avvisando che dichiarare questo non significa dire che il mondo industriale italiano ed europeo sono contro l’ambiente, anche perché, sottolinea “la Ue emette il 7% di Co2, a fronte del 15 % del pil mondiale“. Questo vuol dire che “stiamo regalando quote ad altri continenti, ma non possiamo pensare di distruggere la nostra industria per emettere meno Co2” conclude.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Antonio D’Amato, ex presidente di Confindustria e Ceo di Seda International Packaging Group. “Quella dell’economia europea non è solo una crisi congiunturale ma strutturale che sta mettendo in ginocchio la tenuta sociale dell’Unione” dichiara, mettendo in guardia da quello che definisce “revanchismo ambientalista”, nonostante, continua, “il grande danno del green deal sia sotto gli occhi di tutti, con ripercussioni economiche pesantissime, quali per esempio il dumping ambientale di tante imprese estere che importano nei nostri mercati prodotti che non devono soggiacerea regole ipertrofiche e costose come quelle Ue” . 

Paolo Scaroni, presidente dell’Enel, inserisce una dose di realismo sul tema dell’energia, osservando che “con tutti gli sforzi e gli investimenti fatti negli anni passati sulla transizione, i risultati ci dicono che la produzione delle rinnovabili ha raggiunto solamente il due per cento del fabbisogno e che continua ad aumentare la richiesta e il consumo dei combustibili fossili” e quindi sottolineando la necessità di “rivedere gli obiettivi sul costo dell’energia e capire che non esistono soluzioni a breve termine. L’unica praticabile è il nucleare di ultima generazione”.


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